class="MsoNormal">“Sono qui per contribuire a far vincere ancora questa società”. Con calma, la sua “halma”, mentre fuori piovevano sputi e insulti. 15 luglio 2014. Il popolo juventino ancora scottato dall’addio di Conte non aveva digerito l’ingaggio di colui che ne era stato il primo (e unico?) rivale. La storia di Massimiliano Allegri con la Juventus è nata per caso, come spesso accade alle migliori, ed è finita in un giorno che per gli scaramantici non sarà mai come gli altri. 17 maggio 2019, un venerdì. Per mancanza di stimoli, per opinioni divergenti sulla vision futura e sulle risorse a disposizione, per non essere riusciti a compiere quello step in più nell’anno di Cristiano Ronaldo? Motivi validi, tutto e niente di tutto questo. Ma oggi non sono i dubbi e le supposizioni che restano, bensì qualcosa che conta molto di più: i trofei.
Allegri ne ha vinti 11, diventando il terzo allenatore più vincente della storia della Juventus dopo due mostri sacri come Trapattoni e Lippi: 5 scudetti (consecutivi, su 5 campionati disputati), 4 Coppe Italia, 2 Supercoppe Italiane. Ha saputo adattarsi innanzitutto alla storia e al modo di essere della sua nuova società, poi – in pratica – di volta in volta alle squadre che ha avuto a disposizione. Già a partire dalla prima stagione, quando è riuscito a trasformare gli insulti e gli sputi in uno scudetto pressoché dominato, una Coppa Italia riportata a Torino dopo 20 anni e una finale di Champions League raggiunta dopo 12 anni di attesa. Una cosa l’allenatore livornese ha spesso ripetuto è stata: “Quando sono arrivato avevamo paura di giocare contro il Malmo, invece siamo arrivati in finale di Champions”. Il primo salto di qualità e di mentalità in Europa è un qualcosa di cui gli va dato atto.
"Prendere in mano la squadra il 15 luglio e riportarla alla vittoria, è per fare questo che ci vogliono le palle. Grazie Max" (Andrea Agnelli)
Ma Allegri ha saputo trovare nuovi stimoli anche nell’affrontare campionati di Serie A in cui i bianconeri erano probabilmente gli unici rivali di se stessi. Stimoli psicologici, ma anche tattici. L’incredibile rimonta in campionato della sua seconda stagione ne è la prova schiacciante: il ritorno alla difesa a 3, Juve blindata e punta nell’orgoglio dopo la sconfitta di Sassuolo. Special guest, qualche cappotto lanciato qua e là come a Carpi. Risultato? Uno scudetto vinto già ad aprile – con una squadra alla quale erano venuti a mancare Vidal, Tevez e Pirlo – e una Champions sfumata a Monaco di Baviera dove una Juventus incerottata per poco non fa scacco matto a Guardiola. Più un’altra Coppa Italia, vinta in finale contro il Milan. Sull’onda lunga di un altro tricolore sul petto, la terza stagione è quella dell’all-in. Complice anche la cessione di Pogba, gli arrivi di Higuain e Pjanic ridisegnano la fisionomia dei bianconeri. Che però, nella prima parte di annata, si guardano allo specchio senza riconoscersi.