L’occasione era di quelle da non lasciarsi scappare: non tanto una chance da ora o mai più, avendo già mostrato in una stagione di cosa sia capace. Ma ben figurare sotto gli occhi del Barcellona, a San Siro, avrebbe potuto rappresentare un carpe diem totale per Luka Jović: e il risultato finale, con l’Eintracht proiettato ai quarti di finale di Europa League, non ha fatto che regalare una risposta positiva. A chi da lui, a maggior ragione in una gara decisiva, si aspettasse uno step in più all’interno della sua crescita.
Negli occhi di tutti la cinquina rifilata al Fortuna Dusseldorf in 46’, biglietto da visita principale per mostrare a tutti le proprie qualità: i sacrifici fatti da bambino in mente, soprattutto nel toccare con i tacchetti un terreno di gioco storico, ricordando i lunghi viaggi da 200km tra Bjebljina (Bosnia, dove viveva) e Sarajevo, pagati (70€) dalla scuola calcio privata che, pur di averlo a disposizione nonostante la distanza, offriva al padre del ragazzo un rimborso per ogni tragitto. Di strada Jović, e non proprio nel vero e proprio senso della parola, ne ha fatta eccome: tecnico, fisico, completo, rapido. Come nel bruciare de Vrij dopo 6’, involandosi verso Handanovic, chiudendo con il lusso di un pallonetto delicato appoggiato al palo.
Si dice che a volte dormisse in macchina, pur di non affrontare due volte una tratta insostenibile per più occasioni in settimana: tutto ciò che davanti alla porta, invece, non gli riesce (quasi) alla perfezione. Un destro all’incrocio e un sinistro non angolato a sufficienza per chiudere la partita: un miracolo di Handanovic, su un missile di testa a breve distanza, per negargli il gol numero 23 in stagione. Saper far salire la squadra, abbinando una non clamorosa altezza a grandi qualità fisiche, fungendo da boa: aprire il gioco con qualità, nel lungo e sullo stretto, con una rapidità d’esecuzione notevole.
In sostanza, a guardare dal vivo i 90’ di stasera, Luka Jović sa fare semplicemente tutto: credere di poter arrivare ad altissimi livelli compreso, spinto da una grande fede in Dio che lo ha portato a tatuarsi il volto di Gesù sul pettorale destro, e riuscirci fino in fondo, pur potendo migliorare a livello di cinismo. Passando, nel suo cammino di conquista dalla fame crescente, anche per un teatro come San Siro, davanti agli occhi di Abidal, Segura e Planes: più semplicemente, del Barcellona. Carpe diem sia, allora, tra gol decisivi e…indicativi: di quel che sarà il futuro, se ne parlerà in estate. Ma la sensazione data, una volta di più e anche in chiave blaugrana, è quella di un grande “sì”.