“Io, un ragazzo dei Quartieri…”. Antonio Bocchetti si racconta: “L’amore per Miano, il soprannome O’Pazz e Pescara, ‘nu piezz”e core. Ora Ds della Paganese, ambiente fantastico”
E’ solo quando nessuno ti regala nulla e ottieni tutto con il sudore della tua fronte, che riesci davvero a cogliere e apprezzare l’essenza delle cose. L’essenza di ogni piccola soddisfazione, l’armoniosità del quotidiano. Viviamo in un mondo nel quale le regole sono diventate eccezioni e le eccezioni sono diventate regole. Una volta, il gradiente per arrivare in alto era esplicato unicamente dalla sana cultura del lavoro, dello sporcarsi la faccia nel senso meno metaforico che a locuzione siffatta si potrebbe attribuire. Oggi, invece, il gradiente per arrivare in alto è tutto racchiuso nell’equazione minimo sforzo e massimo risultato. Pigrizia, aporia e apatia di valori giocano un ruolo fondamentale nel farci immaginare tutti tronisti e veline perché pesa, giustamente, di meno star seduti su uno sgabello a sparar quattro castronerie che svegliarsi alle 7 della mattina.
Pensiamo di aver un talento innato, pensiamo che questa società non possa far a meno di noi, pensiamo di esser così bravi da non dover far sacrifici. Ci auto-illudiamo ben bene nella spirale di un mondo che fagocita tutto e tutti, che guarda con totale indifferenza chiunque. E, oltre ad una necessaria riscoperta valoriale, sarebbe importante ritrovare quel senso del lavoro e quello spirito di sacrificio, quali uniche armi per difenderci da una società istupidita, omologante e senz’altro orientata al profitto.
Raccontiamo, dunque, la storia di un ragazzo che ce l’ha fatta. Con il lavoro, con il sudore, con il sacrificio. Senza che nessuno gli regalasse mai nulla. E’ la storia di Antonio Bocchetti, una vita tra Serie A e B, ora direttore sportivo della Paganese (Lega Pro, Girone C). Partiamo dalle sue origini, perché nell’epoca dei luoghi comuni dire che una persona viene da un Quartiere che a nord confina con Scampia e a est con Secondigliano tanto sicuramente quanto erroneamente permea in maniera estremamente analitica l’immaginario collettivo… “Sono napoletano, vengo da Miano. Un Quartiere popolare di periferia. Un Quartiere che, oltretutto, ha sfornato diversi calciatori: mio cugino Salvatore Bocchetti e i Letizia tanto per citarne alcuni. Io vado fiero delle mie origini, quando posso torno sempre qui per ritrovare la mia famiglia e i miei amici. Il Quartiere è parte della mia vita, un qualcosa che ti rimane dentro anche a chilometri di distanza e che non puoi cancellare…anzi non devi cancellare! Se ne parla in maniera negativa perché si esaltano i personaggi negativi, ma ci si dimentica di tutta la brava gente che vive qui come a Secondigliano e Scampia. E vi posso assicurare che le brave persone sono la stragrande maggioranza! Gente onesta, lavoratrice, che si sveglia la mattina va a faticare e torna a casa tardi la sera. Ci si dimentica, ad esempio, che da Miano proviene un calciatore di primo livello come mio cugino Salvatore e un oro olimpico come Pino Maddaloni. Non dobbiamo mai scordarci che tutto dipende dall’impostazione che noi diamo alle cose, da quale prospettiva le vediamo e le facciamo vedere”.
Un legame speciale con la propria terra, con le proprie origini. Un legame non solo ‘virtuale’, ma anche e soprattutto ‘fattuale’… “Noi da trent’anni, qui a Miano, abbiamo una Scuola Calcio, l’Asd Bocchetti. Essa ha soprattutto una funzione sociale, per levare i ragazzi dalla strada. Anziché giocare in strada vengono qui, giocano e si divertono”. Maglia del Napoli e pallone, che rimbalza di qua e di là tra le vie del Quartiere. Non si ferma mai, rotola continuamente. Le urla dei guaglioncelli, le ginocchia sbucciate, le partite all’indimenticata scartarella, le porte improvvisate. Eccola qui la vera dimensione del calcio: ben lontana da quelle spregevoli logiche economiche che rendono anche il pallone, mezzo di divertimento e di speranza per antonomasia, un biasimevole espediente di profittizzazione. Pensieri e immagini, quelle di cui sopra, molto familiari per Bocchetti… “Come uscivamo da scuola, eravamo subito in strada a giocare fino a notte. Quella per noi era la felicità vera. Mi chiamavano O’Pazz perché – racconta Bocchetti ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – mi arrampicavo dappertutto, ovunque sarebbe andato il pallone io mi sarei arrampicato e lo avrei preso. Terrazze, balconi, alberi, avevo una tigna che mi porto dietro tutt’ora. Non volevo smettere mai di correre dietro al pallone…”.
E, infatti, non ha mai smesso. Determinato, tignoso, schivo. Non amava e non ama parlare, “contan e fatt!”. Una lunga carriera da calciatore, con Pescara quale apice assoluto… “Maestro Zeman il migliore che ho avuto, ti insegna i valori veri, ti insegna ad essere uomo. E poi Insigne, Immobile e Verratti. Che altro devo aggiungere? Ah, che è ‘nu piezz”e core e che ci torno sempre volentieri”.
Poi la nuova avventura da dirigente, “perché fare l’allenatore non mi piaceva proprio e qualcosa una volta che smetti lo devi fare”. Un’onestà rara nel mondo dei canovacci pre-scritti e pre-stabiliti. Giusto pochi giorni fa è arrivata, a Coverciano, l’abilitazione da direttore sportivo… “E’ stata un’esperienza unica, mi ha aperto la mente. Ringrazio i miei 42 colleghi, di un’umiltà fuori dal comune e i docenti di prim’ordine che mi hanno davvero insegnato tanto. Una lezione che porterò sempre dentro è stata quella di Filippo Fusco del Verona sulla concezione della sconfitta. Essa è una componente del calcio e va accettata, prendendo esempio dal modello inglese. Lì si vince o si perde, la domenica dopo i tifosi sono sempre in curva ad incitare la squadra più di prima. E quest’arte del saper perdere mi è servita davvero tanto, specie ‘a uno come a me’ che si in…nervosisce anche per una sconfitta nelle partitine d’allenamento”.
Seconda stagione di Paganese, bilancio? “Positivissimo! Io avevo proprio bisogno di un ambiente così: semplice e familiare. Qui ci vogliamo tutti bene, lanciamo i giovani con tranquillità, facciamo le cose senza ansia. Voglio ringraziare il presidente Trapani, il presidente onorario Calabrese, il direttore generale Filippo Raiola e Fabrizio Ferrigno che non è più qui. Siamo stati insieme anno scorso ed è stata una persona molto importante per me. Ma da queste parti di gente importante, soprattutto dal punto di vista umano, ne è passata. Cito Grassadonia, il migliore dopo Zeman, per citarne tutti. La riconoscenza è un valore importante, io che vengo dai Quartieri lo so bene…”.
Perché il Quartiere è un pezzo di cuore, è un qualcosa che non si può e non si deve spiegare. Viviamo nel mondo dell’iper razionalizzazione. Ma a forza di voler spiegare e dar un senso a tutto, abbiamo perso quella parte irrazionale di noi costituita da sentimenti ed emozioni…