È passato. Il primo weekend dell’anno zero. Quello in cui inevitabilmente aleggiava il fantasma del 13 novembre. Perché il mondo ricomincia anche dopo un’apocalisse. Fuori dal mondiale, ributtiamoci sul campionato. Facile da dire, più difficile da fare. Per i tifosi che entrano negli stadi come reduci, chiedendosi come va e rispondendo a smorfie e per chi quella notte l’ha vissuta sul campo.
Asciugate le lacrime, il pallone è tornato a rotolare. Da fratelli d’Italia al tutti contro tutti. Dalla delusione collettiva a nuove emozioni individuali. Zero gol nel playoff contro gli svedesi, due in questa giornata. Il capocannoniere e il grande escluso. Ciro e Lorenzo.
Ma se per Immobile è stato solo un lampo di rigore in mezzo al buio di un derby da dimenticare, per Insigne è stata la notte del colpo di spugna. La rete contro il Milan, l’abbraccio della sua gente, l’eleganza nelle dichiarazioni nel post partita. La fuga dei suoi azzurri per dimenticare l’esclusione dagli altri azzurri.
Luci al San Paolo. L’Ins factor del Napoli: talento e qualità al servizio del sarrismo. Per gioire in primavera e non pensare a quell’estate rubata. Ventura non l’ha visto, chiuso in un ristorante dì Ostuni, attraversato chissà da quanti rimorsi. Bonucci invece l’ha visto bene. E anche lui avrà pensato a quello che poteva essere e non è stato. “Il calcio italiano va cambiato. Siamo mancati per qualità e talento”, ha detto dopo Napoli-Milan. Trovarseli contro e non accanto fa ancora più male.
Ride il Napoli di Insigne e Jorginho, piange la Juve. Tre gol subiti a Genova, Buffon e Barzagli a riposo. Scorie fisiche e mentali da riassorbire, solo Chiellini a parare, con poca fortuna, gli urti là dietro. “Non c’è mai fine al peggio”, ha chiosato ai microfoni di Sky Sport, ripensando agli ultimi dieci giorni da incubo. I ricordi di quell’inno spontaneo dagli spalti di San Siro, il gol mai arrivato, i compagni che lasciano, lui che ancora non sa che fare. Pensava di abbandonare dopo la Russia, adesso chissà. “Ho 33 anni e temo di non riuscire a coniugare al meglio il doppio impegno”.
Chiellini non ha ancora deciso, a differenza di De Rossi, “capitan presente” della sua Roma. Lunedì ha lasciato la nazionale senza giocare, cinque giorni dopo ha vinto il derby, guidando i suoi compagni sotto la Sud a fine partita. Per lui e Florenzi, romani e romanisti, sono stati giorni ancora più difficili. Affrontare un derby a 116 ore dall’apocalisse, era un impegno complicato. Vincerlo aiuta a non pensare, anche se quella deviazione sul tiro di Johansson ogni tanto tornerà negli incubi del capitano giallorosso. Perderlo però sarebbe stato peggio, come successo a Immobile e Parolo.
Un weekend difficile per tanti. Per i nostri azzurri emigrati in Premier League, fra Darmian non convocato nello United e Gabbiadini in campo solo undici minuti nella sconfitta del Southampton a Liverpool.
Male, ma a qualcuno è andata peggio. Dopo aver pianto a lungo sul prato di San Siro, Andrea Belotti si è fatto parare un rigore da Sorrentino. Torino bloccato in casa dal Chievo. Una maledizione, iniziata con l’infortunio al ginocchio, proseguita a Solna col colpo di testa uscito per un soffio e arrivata fino all’errore dagli undici metri contro il Chievo. Periodo nero per il Gallo, l’uomo verso il quale tutta San Siro aveva urlato la sua estrema speranza.
Quella sera rimase solo il silenzio, rimosso meno di una settimana dopo dalla gioia di chi è tornato a riempirlo per l’Inter di Spalletti. Due uomini di Ventura, Candreva e D’Ambrosio, al servizio di un attaccante che il mondiale quasi sicuramente lo giocherà. Sono stati i primi a tornare sul luogo del delitto e l’hanno fatto nel modo migliore, con due assist. Quella sera D’Ambrosio era in tribuna e Candreva non aveva Icardi a centro area. Uno che in Russia, a meno di scelte suicide di Sampaoli, ci sarà. Beato lui.
Claudio Giambene