Il Milan si prepara all'amichevole americana contro il Barcellona a Baltimore (nella notte italiana e fischio d'inizio all'1 e 30). Intanto, Zlatan Ibrahimovic ha rilasciato un'intervista al The Athletic. Oltre ai temi sportivi, il Senior Advisor rossonero ha parlato anche del figlio e del passato.
Ibrahimovic: "Non sono un babysitter. I giocatori sono adulti"
Zlatan Ibrahimovic ha parlato del suo ruolo nel Milan: "Ho voce in capitolo sotto molti aspetti per portare risultati e aumentare il valore, il tutto con l'ambizione di vincere. Non sono una babysitter, i miei giocatori sono adulti e devono assumersi le responsabilità. Devono dare il 200% anche quando non ci sono".
Nel futuro di Zlatan Ibrahimovic, comunque, non ci sarà il ruolo da allenatore. "Vedi i miei capelli grigi? Figuriamoci dopo una settimana da allenatore. Un tecnico lavora anche 12 ore al giorno. Non hai assolutamente tempo libero. Il mio ruolo è connettere tutto, essere un leader dall’alto e assicurarsi che la struttura e l’organizzazione funzionino. Per tenere tutti sull'attenti".
"Capello mi distruggeva ma mi ha reso il migliore"
L'ex attaccante rossonero ha parlato di uno degli allenatori che gli ha cambiato la carriera: "Alla Juventus avevo Fabio Capello. Mi stava distruggendo. Ma allo stesso tempo mi costruiva. Ti diceva 'Oggi sei stato uno schifo. Domani sarai il migliore'. Quindi, quando pensavi di essere il migliore, ti massacrava. A un certo punto non ci capivo più nulla. Mi chiedevo: 'Sono davvero il migliore o sono una m***a?' Era il suo modo di motivarti. Ha funzionato? Sono diventato il migliore, quindi sì".
Zlatan Ibrahimovic ha poi parlato del ritorno al Milan dalla MLS: "Quando sono venuto la seconda volta, si trattava più di dare che di prendere. Volevo aprire la strada a una nuova generazione, dimostrandogli come si fanno le cose. Milano è l’élite dell’élite: pressioni, pretese, obblighi. Bisogna assumersi la responsabilità, diventare uomo. Ero il punto di riferimento. Non avevo ego. Ero una specie di angelo custode. Quindi tutta la pressione ricadeva su di me, ma allo stesso tempo facevo pressione su di loro. Credo che questa giovane generazione abbia bisogno di un leader da seguire. Se non hai esempi, soprattutto quando giochi in grandi club, chi ti indicherà la strada?"
L'ex attaccante rossonero ha parlato del suo rapporto con la fede: "Non sono credente. Credo nel rispetto. Quindi quelle parole significano che solo io posso giudicarmi. Le faccio un esempio: quando mio fratello è morto di leucemia dov'era Dio per aiutarlo? Lo preghi tutti i giorni, lo ringrazi tutti i giorni, ma dov'era in quei momenti? Nel mio mondo, sei tu il tuo dio. È quello in cui credo".
Infine un commento sul figlio Maximilian, che ha appena firmato il primo contratto da professionista con il Milan Futuro: "Per mio figlio Maximilian non è facile perché, ovviamente, suo padre è quello che è. Quindi porta un cognome pesante. Ovunque vada, sarà sempre paragonato a me. Ma al Milan, nel mio ruolo, non lo vedo diverso dagli altri. Non lo giudico come se fosse mio figlio. Lo giudico come giocatore, come tutti gli altri. Deve imparare, deve lavorare e deve guadagnare. È forte mentalmente. Deve acquisire quella spinta che avevo io in modi diversi. Dove la prenderà, dovete chiederlo a lui. Posso parlare solo come un padre. Gli ho dato disciplina, rispetto e il duro lavoro. Se vuoi qualcosa, lavori per ottenerla. Non ti daranno nulla gratuitamente qui. E non solo nello sport".