Il Manchester United sembra aver sciolto gli ultimi dubbi: dopo l'esonero di Solskjaer, la dirigenza dei Red Devils ha deciso di affidare la propria panchina al tedesco Ralf Rangnick, in passato vicinissimo al Milan.
Le parti stanno formalizzando l'intesa con gli ultimi dettagli, mentre contro il Chelsea in campionato sulla panchina del Manchester United siederà ancora Carrick.
I primi passi di Rangnick nel mondo del calcio
Ognuno ha nella propria mente un momento, un istante, dove è scattato qualcosa. Lo hanno i giocatori, lo abbiamo noi che scriviamo, lo hanno tutti, senza eccezioni. Quello è il momento in cui scatta la scintilla, in cui tutto il resto sembra essere nulla, il momento in cui l’esistenza prende forma.
Ecco, per Ralf Rangnick, quella scintilla è scattata in un freddissimo giorno di febbraio, nel 1983. Rangnick era allenatore-giocatore (non gli è mai piaciuto accontentarsi ad un ruolo unico, lo vedremo più avanti), del FC Viktoria Backnang, la squadra della sua città, che militava in sesta serie. Poco distante, in un campo congelato, la Dynamo Kiev del leggendario Valeriy Lobanovskyi si allenava e aveva bisogno proprio di una squadra da affrontare per fare una sgambata. Passarono pochi minuti, e Ralf si fermò. Immobile, in silenzio. Nessuna parole, solo estasi. Non capiva, gli sembrava che in campo ci fossero 13-14 giocatori, non undici. Per la prima volta nella sua vita una squadra avversaria non gli aveva lasciato neanche un secondo, neanche uno solo, per respirare. Quel giorno Ralf Rangnick capì il concetto del pressing in maniera totalmente differente. Quel giorno lo cambiò per sempre.
Un allenatore, e anche un dirigente, che del pressing ne ha fatto una vera e propria filosofia di vita. Nel 1998, anni dopo, andò in televisione e spiegò a tutti questa sua ammirazione per il pressing. Da quel giorno Rangnick è conosciuto come il Professore, ‘The Professor’. Sono poi arrivati, negli anni, alti e bassi. Come è giusto e normale che sia. Gli interisti se lo ricordano bene, perché era lui l’allenatore di quello Schalke 04 che nel 2011 vinse a San Siro per 5-2, e che poche settimane dopo eliminò la squadra di Leonardo dalla Champions League, undici mesi dopo avere alzato il trofeo a Madrid. Ma Rangnick non durò molto. A settembre infatti lasciò lo Schalke 04 per sua volontà. Troppo stress, esaurimento nervoso dissero.
Le due creature di Ralf
Negli ultimi quindici anni, a parte l’esperienza allo Schalke, il nome di Rangnick si lega principalmente a due squadre: l’Hoffenheim e il RB Lipsia. Due sue creature, in tutti i sensi. Perché Ralf è arrivato, ha costruito e ha fatto diventare questi due progetti delle realtà a livello europeo. Certo, in entrambi i casi non mancava la disponibilità economica dei club.
All’Hoffenheim Rangnick è stato l’allenatore dal 2006 al 2011 e ha portato la squadra dalla terza divisione alla Bundesliga, in tre anni. Una certezza. Dietmar Hopp, controverso proprietario della società, lo aveva scelto per far diventare grande la sua creatura. Missione compiuta. Così, nel 2012, lo chiama la Red Bull, con un compito ancora più complicato. Rangnick diventa il direttore sportivo delle due squadre targate RB, il Salisburgo e il Lipsia.
Di talenti dalle sue parti ne passano parecchi, da Naby Keita e Sadio Mane, per fare due nomi. Poi nel 2015 Rangnick diventa anche l’allenatore del Lipsia, mettendo da parte il ruolo dirigenziale che aveva in Austria. Ma la forza di Ralf è anche quella di capire il momento, di quando c’è bisogno di lui e invece di quando le sue competenze andavano sfruttate in altri luoghi. Così dopo una sola stagione (dove porta il Lipsia in Bundesliga) fa un altro “step down” e sceglie Ralph Hasenhüttl come allenatore di quella che sarebbe diventata una delle grandi di Germania nel giro di pochi anni.
Dopo la separazione con quest’ultimo, avvenuta nel 2018, torna ancora una volta in panchina. Ma lo fa a suo modo, annunciando anche l’allenatore per l’anno successivo (sì, esattamente un anno prima). Si tratta ovviamente di Julen Nagelsmann, quello che caso vuole aveva fatto fare il passo decisivo proprio all’Hoffenheim, l’ex creatura di Rangnick. Così dopo l’arrivo del giovane allenatore tedesco torna nella dirigenza a tutti gli effetti, assumendo il ruolo di Head of Sport and Development Soccer della Red Bull.
Capitale, concetto e competenza: le tre C di Rangnick
Ci sono tre parole per descrivere al meglio Ralf Rangnick: capitale, concetto e competenza. Le ha dette lui stesso. Secondo Rangnick per avere successo, ovunque, questi sono gli ingredienti della ricetta vincente. Sono le tre c del professore, appunto. Capitale, perché ovunque è andato ha sempre avuto a disposizione risorse economiche importanti. Attenzione però, non necessariamente per il mercato. Prima all’Hoffenheim e poi al Lipsia sono stati fatti milioni di investimenti sul campo tecnologico e della ricerca per nuove tecniche di allenamento. Un esempio? La Soccerbot al Lipsia, una macchina che simula le partite già giocate e fornisce ai giocatori la possibilità di rigiocare alcune situazioni di gioco delle partite.
Il pacchetto Rangnick non prevede soltanto cambiamenti in campo, ma anche fuori. A partire dalle strutture, dalla tecnologia applicata al calcio, agli allenamenti. È un modo completamente diverso di vedere il calcio. Perché Rangnick è un uomo pragmatico prima di tutto, e chi lo conosce bene assicura che ama le sfide impossibili, quelle che sembrano più grandi di lui. Lo voleva anche il Bayern, ma il suo modo di vedere il calcio avrebbe rivoluzionato la società totalmente, e dalle parti di Monaco non ne avevano (ancora) intenzione. Questa è la legge di Ralf.
Rangnick è un personaggio particolare, che si nasconde dietro quell’aria da professore di liceo anche quando va in panchina con jeans e maglioncino. “Ho 60 anni, e sono felice di avere un ufficio, sopratutto per scappare dalla musica che ascoltano nello spogliatoio prima delle partite. Ma musica a parte, sono molto legato ai miei giocatori”, ha dichiarato.