Un nano in mezzo ai giganti. Oddio, proprio basso non è. Hirving Lozano, alla fine, è alto 1,75, non meno di altri. Dall'altra parte, però, erano grossi per davvero. C'era la Germania campione del Mondo, infatti. Una squadra che non solo è abituata ad arrivare fino in fondo e che non perdeva una gara del Mondiale da 2902 giorni. Spesso per far cadere i più forti serve la fantasia. Anche la genialità e l'imprevedibilità, tutte cose che Chucky ha nel suo Dna.
Chi? Sì, esatto: la bambola assassina. Lui assassino lo è eccome, per questo lo hanno soprannominato in questo modo. Lo è sul campo. Sull'esterno, dove corre come un forsennato e dove ha creato scompiglio nella conclamata solidità tedesca. Contropiede, stop di sinistro, finta a rientrare e tiro secco con il destro. Neuer battuto, non uno qualunque. Degna ciliegina sulla torta per un primo tempo giocato in modo splendido da lui e dai suoi compagni.
Lozano sa anche segnare quindi. 19 reti nella sua prima stagione europea con la maglia del PSV. Undici assist, quanto basta per essere decisivo in quasi tutte le 34 volte che ha messo piede in campo. Ma un gol ai Mondiali è diverso. E'un traguardo che sognava da bambino, fin da quando si nascondeva sotto il letto per poi sbucare all'improvviso spaventando i suoi compagni di squadra. Fin da quando, da solo, da Città del Messico si è trasferito al nord. Aveva undici anni, schiacciato dalle tante difficoltà, salvato anche e soprattutto grazie all'aiuto della sua Anita. La donna che l'ha sposato prima del debutto fra i professionisti, la persona alla quale dedica ogni gol
Salvato anche di Enrique Meza, colui che lo ha fatto diventare grande nel Pachuca. L'esordio in Liga MX nel febbraio del 2014, da lì sono gol e assist a valanga. Quanto basta per cederlo in Olanda a 10 milioni, cifra mai vista in Messico per quanto riguarda il mercato in uscita. Prima di salutare il suo paese, però, la Confederations Cup dell'anno scorso. E la semifinale conquistata con il suo Messico, soprattutto grazie a lui e al gol segnato alla Russia nell'ultima giornata del girone. Un colpo di testa messo a segno da così lontano non si era mai visto, nemmeno con Van Persie nei Mondiali del 2014. I volti di Hirving e di Viktor Vasin ad incorniciare il tutto, la mossa di karate scomposta di Akinfeev che gli fa male ma non lo stende.
E' passato un anno, lui ha cambiato vita. Almeno professionalmente, perché il trasferimento in Europa è l'ostacolo più grosso per un calciatore sudamericano. Lo ha fatto crescere ancora di più e adesso il Messico se lo coccola. Lui, per ora, risponde presente. Spinto dal calore di un popolo che ha invaso la Russia e che ha seguito con il fiato sospeso il contropiede poi finalizzato dallo stesso Hirving. Ha fatto tremare anche Città del Messico, laddove è nato 22 anni fa. La gente ha saltato così forte che i sismografi hanno registrato una piccola scossa di terremoto. Nessun ferito fortunatamente. Solo gioia e passione di un paese che, anche grazie a lui, non vuole smettere di sognare