Il mondo del calcio piange Gianluca Vialli, 58 anni. Da oltre cinque anni lottava contro un cancro al pancreas
Il mondo del calcio piange Gianluca Vialli, 58 anni. Da oltre cinque anni lottava contro un cancro al pancreas
Gianluca Vialli porta dentro di sé un trofeo unico e dal valore inestimabile. No, gli oltre 160 gol segnati in carriera, lo scudetto con la Samp e la Champions con la Juve, stavolta non c’entrano niente. Vialli ci ha lasciato un messaggio raro, prezioso, trasmesso con una voglia di vivere incredibile. Ci ha insegnato a non avere paura, o meglio ci ha insegnato ad affrontarla questa paura, lottando contro una bestia come il cancro senza nascondersi. Anzi. Condividendo, trasmettendo, raccontando, quasi come se parlarne gli desse la forza di andare avanti e di combattere ancora. Questo è forse l’insegnamento più grande che ci ha lasciato. Una speranza che resterà per sempre, soprattutto in chi vive la sua stessa condizione e lotta giorno dopo giorno. Per questo - ma non solo per questo - Gianluca è stato un uomo generoso e dal cuore grande. Da cui abbiamo solo da imparare e a cui dire grazie. Per tutto.
La sua partita contro il cancro al pancreas era iniziata nel 2017. Per sconfiggerlo ha avuto bisogno di intervento chirurgico e a due cicli di chemioterapia, da 17 mesi in totale. Da quel momento la sua battaglia è diventata la nostra battaglia. Lo vedevamo così debole, magro, ma allo stesso tempo forte e pieno di coraggio. Era lui stesso a dire “non preoccupatevi”. E quando te lo dice uno così non puoi far altro che credergli, anche solo per la fiducia che ti trasmette mentre lo dice. Dagli sguardi. Quelli ammirati di chi guarda la forza di un uomo che è diventato un gigante per affrontare la malattia. O che forse un gigante lo è sempre stato. In campo ma soprattutto fuori.
In una delle sue ultime uscite pubbliche a fine novembre, a Torino per il film sulla sua Sampdoria “la bella stagione”, tratto da un un libro scritto da lui e Roberto Mancini. Lo avevamo visto con un dolce vita bianco, la camminata faticosa e la parlata lenta, ma con una gran voglia di raccontare e ricordare. D’altronde lo scudetto del 1991 vinto con i blucerchiati vede la sua firma tra quelle d’autore. Protagonista, simbolo, riferimento e guida. È stato così in ogni squadra in cui ha giocato: sia alla Juve, in particolare con Lippi allenatore, con cui nel 95 vince un altro scudetto, che al Chelsea, in quella Londra che per lui è diventata casa, fortino e porto sicuro. Sempre decisivo, leader, uomo squadra. Lo stesso ruolo che ha ricoperto all’Europeo nello staff del Mancio, gemello del gol con cui ha condiviso tantissimo negli anni.
Stava meglio. Si sentiva meglio e in grado di dare il suo contributo. A livello tecnico sì, ma anche sopratutto umano e di spogliatoio. Diventa quindi capo della capo delegazione nel novembre 2019 nel pieno della ricostruzione azzurra. Più forte del destino e della malattia.
Vincendo a Wembley l’11 luglio del 2021 si è tolto un peso che aveva dentro da quasi trent’anni, da quella punizione di Koeman che spezzò i sogni della sua Samp in finale di Coppa Campioni. Si è chiuso un cerchio. Racchiuso dentro un abbraccio indimenticabile tra lui e Roberto. Sempre insieme, sempre loro.
Gianluca in questo capitolo della sua vita ci ha insegnato che dare l’esempio vale più delle parole e che la felicità dipende dalla prospettiva da cui guardi il tuo cammino. Si è mostrato fragile con un’ umanità disarmante. Con chiarezza, lucidità, senza mai nascondere di avere paura di morire ma con la forza di usare questa paura come strumento per andare avanti e apprezzare ogni momento. Il suo è stato un esempio a 360^ gradi. Da lui abbiamo imparato a non pensare a cosa potesse succedere in caso di sconfitta e a goderci il presente. Perché Vialli lo è oggi, e lo sarà sempre, presente. Nel ricordo di chi lo ha amato in famiglia, in amicizia, da tifoso o da appassionato, o ancora da chi dalla sua battaglia ha trovato una grande forza di lottare contro il destino.
Il suo carattere lo ha aiutato, anche quando la malattia è tornata. Affrontandola a muso duro, ma sempre con grande rispetto. Come ha sempre fatto con i grandi difensori, con gli avversari più forti. Con la speranza di dribblarli ancora una volta, uscendo dalle difficoltà come faceva da un raddoppio di marcatura. Come in campo, così nella vita. Ha comunicato sempre tutto al mondo, al suo piccolo grande mondo di sua moglie e delle sue figlie. Ma anche al mondo intero che lo ha considerato a lungo un simbolo. Gianluca è stato tutto questo. Una benedizione, un modo in cui la vita ci viene incontro per aiutare a spiegarci meglio, a essere più sinceri, diretti, veri. Contro il cancro e contro la sorte. Così lo racconta chi lo conosce, chi lo ha vissuto. Aveva salutato la federazione con una lettera bellissima, chiusa con un messaggio dolce e un abbraccio. Lo stesso che in questo momento noi tutti vorremmo dargli. Anche chi non ha avuto la fortuna di conoscerlo, ma lo ha visto volare in campo o lottare fuori. Vincere, sorridere, combattere, insegnare.