Figurina 424, Filippo Maniero. L’unica che ci manca di quel Venezia, edizioni Calcio Merlin 2000. “Proprio quello più forte!”, direbbero i bambini. Già, perché Recoba era appena tornato alla base. Ma Pippo sarebbe rimasto in arancioneroverde per altre tre stagioni, diventando il miglior realizzatore vivente della storia del club (54 gol). Nessuna delle successive però si avvicinerà mai a ciò che era stato il Venezia del 1998/1999.
Vent’anni dopo, ‘quello più forte’, lo andiamo a trovare nella sua grande casa di Legnaro (PD). Maniero, oggi 46 anni e allenatore dell’Aurora Legnaro (Promozione Veneto, Girone C), ci viveva già ai tempi di Venezia. Era arrivato nell’estate del ’98, dal Milan. “Diciamolo, quando giochi in una squadra come quella rossonera vorresti rimanerci”, ci racconta l’ex attaccante in esclusiva per Gianlucadimarzio.com. “Ma la scelta della società era stata per altri giocatori e allora ho dovuto guardarmi attorno. Il Venezia di Zamparini e di Marotta faceva più pressioni di tutti, con Gianni Di Marzio (papà di Gianluca e allora nella dirigenza) che mi chiamava minimo tre volte al giorno per convincermi. La piazza era entusiasta, di nuovo in Serie A dopo 31 anni. E io ero vicino a casa: alla fine è stata una scelta semplice”.
L’avventura arancioneroverde di Maniero però non è iniziata nel migliore dei modi. “Siamo partiti malissimo, come squadra e anch’io personalmente. La gente si aspettava molto da me, che l’anno prima giocavo con Leonardo e Weah. Ma non riuscivo a fare gol, né a dare il mio contributo. Così i tifosi cominciavano a mormorare”. A peggiorare le cose c’erano le origini di Pippo: un padovano che viene a giocare a Venezia è come un livornese a Pisa. “Certo, c’era ancora più diffidenza nei miei confronti. -El xe proprio padovan-, mi ricordavano quando giocavo male. L’unico modo che avevo per farmi apprezzare era cominciare a segnare: da professionista, se vestivo la maglia del Venezia era perché ci credevo”.
Ma ce ne vorrà di tempo. Dopo cinque giornate la squadra di Novellino ha appena un punto e ancora zero gol all’attivo. Il primo squillo arriva a metà novembre, un inatteso 2-0 alla Lazio. “Ci aveva dato morale, ma fino alla fine del girone d’andata la situazione restava critica”. Zamparini è pronto a esonerare Novellino, ma i giocatori si oppongono all’unisono.“Una delle poche volte in cui mi sono trovato a decidere insieme ai miei compagni del futuro di un allenatore. Bisogna dar merito anche al presidente: per una volta non ha fatto di testa sua ed è andata bene così”. Benissimo, anzi. Il 1998 si chiude con gli arancioneroverdi ultimi dopo 14 giornate, Maniero ancora all’asciutto. Ma con il nuovo anno arriva la svolta. Il primo segnale arriva dal Penzo, che il 6 gennaio durante Venezia-Empoli viene avvolto da una nebbia provvidenziale.
“Il calcio a volte è fatto di segni del destino. Eravamo 0-0 e a metà del secondo tempo è venuta giù una nebbia fittissima. Non si poteva giocare, l’arbitro la rinvia e due settimane dopo la rigiochiamo dall’inizio”. Nel frattempo ne passa di acqua sotto i ponti. A San Siro, Maniero finalmente si sblocca: due gol inutili, a fronte della goleada nerazzurra, ma intanto proprio da lì Zamparini sta portando a Venezia un giovane talento che nell’Inter non trova spazio. Contro l’Empoli, nel recupero, ci sarà un Recoba in più. “Pensa il caso: proprio in quella partita, a fine primo tempo eravamo sotto di due gol e di un uomo”. Nella ripresa Valtolina accorcia, Maniero impatta sul primo assist di Recoba. Non finisce qui: all’86’ c’è punizione per il Venezia.
“Il Chino aveva calciato in mezzo: con il corpo ero messo talmente male che l’unico modo che avevo per far gol era provare il colpo di tacco. Un gesto istintivo. Poi che la palla sia andata a finire all’incrocio è una bella dose di fortuna. Se ci riprovo altre cento volte non va all’angolino. Fa parte anche dei momenti di quella stagione: da quando è arrivato Recoba le cose sono cambiate e ci andava bene tutto. Due mesi prima una cosa del genere non mi sarebbe mai capitata. La stranezza e la bellezza del calcio” . Sarà il gol più bello della carriera di Pippo, di quella Serie A (ex aequo con il tacco di Mancini a Parma?), di quella stagione per il Venezia. Che vince quella partita e scopre la coppia Maniero-Recoba. “A gennaio avevo segnato sette gol: tranne ovviamente i due di San Siro, tutti su assist del Chino. Un peso che avevo dentro non c’era più: da lì a maggio, avrei fatto un grandissimo campionato insieme ad Alvaro”.
Eppure, anche quel gennaio da favola non poteva non avere il suo pelo nell’uovo: contro il Bari, il brasiliano Tuta regala la vittoria al Venezia proprio allo scadere. L’esultanza è stranamente tiepida, negli spogliatoi succede di tutto, la stampa parla subito di combine. “Ci sono partite in cui il pareggio può stare bene a entrambe le squadre”, ci racconta l’episodio Maniero. “Non è questione di mettersi d’accordo prima della partita: semplicemente si percepisce in campo, a pelle. Contro il Bari era una di quelle. Se sono andati solo in pochi ad abbracciare Tuta penso sia legato al rammarico nei confronti degli avversari: non stavano giocando alla morte e a quel punto si aspettavano che il match finisse in parità. Il resto sono tutte cavolate. La federazione aveva aperto un’inchiesta, ascoltando tutti i giocatori in campo, e non aveva trovato elementi per andare oltre. La combine non c’era stata. Tuta dice di sì? Non so perché abbia voluto dare questa versione a fine gara. Forse non stava vivendo un buon momento sportivo e si aspettava maggior entusiasmo attorno a lui”.
Per il povero Tuta, di cui in Italia ci si ricorda essenzialmente per questo
gol, le porte dell’attacco arancioneroverde si chiuderanno sempre di più. Ma
non poteva essere altrimenti, con quei due lì davanti.
“Ci siamo trovati
talmente bene che sembrava giocassimo insieme da dieci anni. Già in allenamento
si vedeva questa intesa naturale tra di noi:
le caratteristiche di Alvaro si
integravano con le mie”, rispolvera i ricordi Maniero, gli occhi che brillano.
“Anche in partita, bastava uno sguardo. Quando lui alzava la testa sapevo già
che la palla mi arrivava in un certo modo e dove volevo io.
Provavamo tante
situazioni in allenamento, ma altre erano idee del momento: -Se capita una
punizione guarda che te la metto là-, mi aveva detto a Piacenza prima della partita.
La punizione è arrivata, io sono partito con quell’attimo di anticipo e ho
segnato. I nostri gol erano così”.
12 Maniero, 11 Recoba, di cui ben sei su punizione. In 19 partite. “Cambiava proprio il nostro modo di giocare. Quando ricevevo palla cercavo l’astuzia di procurarmi falli dal limite o da posizioni pericolose da cui Alvaro avrebbe potuto far male al portiere. Era nato qualcosa tra me e lui di davvero spontaneo, ci divertivamo veramente”. Anche Recoba. “A fine carriera gli hanno chiesto con quale attaccante si era trovato meglio sul campo: lui ha detto Maniero (e sì che aveva giocato con dei grandissimi!). Mi fa piacere, una bella soddisfazione personale” .
E il Chino fuori dal campo? Ora Pippo cambia espressione, divertito.
“L’emblema di quel Venezia era lui, la nostra salvezza passava per le sue
giocate.
Quindi era un po’ coccolato da tutti: allenatore, giocatori, staff.
Era un ragazzo talmente simpatico e alla mano che trasmetteva la sua allegria e
la sua gioia per il calcio giocato in ogni contesto.
Ma aveva un’unica pecca,
ciò che non l’ha fatto entrare tra i più grandi: tecnicamente non
aveva pari, ma era svogliato,
non gli piaceva allenarsi. Ricordo che il
mercoledì mattina era il giorno in cui facevamo allenamento fisico: cominciava
alle 10, lui arrivava sempre cinque minuti prima.
Diceva che la sveglia
non aveva suonato, figuariamoci!”.
“Allora quando a marzo ci ha invitato a cena per il suo compleanno gli abbiamo regalato uno Swatch grande tre metri: un bel promemoria per il mercoledì. Mi ricordo ancora la faccia stranita di Alvaro e le risate che sono seguite” . E l’orologio gli è servito? “Macché, ha continuato a fare quello che voleva. Non aveva proprio voglia, era più forte di lui. Gli piaceva giocare col pallone: tiri, cross, esercitazioni d’attacco. Lì vedevi il vero Recoba. Ma questa indolenza l’ha fregato: in una squadra che si deve salvare puoi chiudere un occhio, in una che invece deve lottare per lo scudetto è difficile emergere con questo atteggiamento”.
Ma intanto Venezia, per quei sei mesi d’incanto, si gode la premiata ditta. Il suo Maradona e il suo Careca, se mai li ha avuti. “Diciamo che si avvicina più il Chino a Diego che io a Careca” , sorride Maniero. “Ma per la piazza il ricordo di me e di lui difficilmente verrà dimenticato, per le emozioni che abbiamo vissuto e fatto vivere. Recoba aveva portato un entusiasmo unico: se non sei abituato a vedere un certo tipo di giocatori, questi trasmettono qualcosa che è difficile da descrivere a voce. Una gioia contagiosissima, anche a chi andava a vedere le partite al Penzo: e così ad alcuni può sembrare che lui sia rimasto lì molto più di sei mesi”.
Gli arancioneroverdi di Novellino rinascono, scalando la classifica domenica dopo domenica. A Sant’Elena cadono la Roma, la Fiorentina. Nella penultima giornata anche l’Inter: il Venezia è aritmeticamente salvo. “E all’ultima contro la Juve avevamo addirittura la possibilità di andare in Intertoto: dovevamo vincere, abbiamo perso 3-2, però quello che avevamo fatto restava incredibile”. La squadra chiude undicesima in Serie A, il miglior risultato del dopoguerra veneziano .
Ma oltre a Maniero e Recoba c’era anche un grande gruppo. “Di veneti c’eravamo io, Pavan, Dal Canto, De Franceschi, Ballarin. E Marangon che era proprio veneziano. Uno zoccolo duro, a cui si aggiungevano tutti i magazzinieri e parte dello staff. Quindi la lingua della squadra era il dialetto veneto, anche per gli altri. Chi non capiva si adeguava. Anche Novellino e Recoba? Come no, qualche parola l’ha imparata anche il Chino. Al di là di noi che segnavamo, gran parte del merito era dei nostri compagni: ci aiutavano a fare gol e soprattutto si dannavano l’anima per non prenderli. Un gruppo veramente fantastico, affiatato: ogni tanto ci sentiamo ancora oggi. Per me resta uno degli anni più belli della mia carriera”.
Maniero si lascia andare ai ricordi, è il momento di mostrargli quell’album di figurine di vent’anni fa. Sopravvissuto a un trasloco, senza più copertina: chi l’avrebbe mai detto che sarebbe arrivato fino agli occhi del ‘più forte di tutti’. “Ah sì, mi ricordo di questa raccolta! Stagione sfortunata, nel 1999/2000 eravamo retrocessi”. Con Spalletti allenatore. “Bravo ma un po’ insicuro: se giocavi male, pensava subito che lo facessi apposta per mandarlo via. Non so se sia ancora così, però all’epoca era fissato”.
Sulla prima pagina dedicata al Venezia, c’è Maniero in azione sullo sfondo. “Varda che magro che gero!”. In quella dopo, tutte le figurine dei giocatori. Tranne la sua. “Borgobello, Petkovic…quest’ultimo doveva essere l’erede di Recoba, aveva detto Zamparini”. Non lo è stato? “Ma per carità! Guarda Brioschi, il Betta…”. Pippo sfoglia l’album, come fosse quello di famiglia... Piacenza… “Artù! È arrivato l’anno dopo al Venezia e siamo tornati subito in Serie A” …Milan…“Eccoli, a gennaio Ganz e N’Gotty sono venuti da noi a darci una mano”.
“Comunque buffo davvero che ti manchi solo la mia figurina! Peccato che non ce l’ho nemmeno io…” Ma un autografo sullo spazio, a quel bambino che non la trovava, potresti farglielo? “Come no! Andiamo a farlo di sopra, ti mostro la mia stanza…”. Il tempio di Filippo Maniero: una mansarda di cimeli, memorie, immagini del giocatore. “Ho fatto un quadro per ogni maglia di ciascuna squadra in cui ho giocato, dal Venezia alla Nazionale Under 21. Poi ho tenuto quelle degli avversari, quando le scambiavo a fine partita”. Batistuta, Baggio, Mancini. Ne ha più di un armadio pieno.
E appese al muro le foto d’epoca. Ce n’è anche una con Zenga, allenatore del Venezia di oggi (e di cui Maniero fu compagno alla Samp nel 1995/1996). E una con il Chino? “Eccola, l’unica credo. Era la partita del mio addio al calcio nel 2008: vennero tantissimi di quel Venezia, oltre ad altri ex colleghi. Del Piero, Amauri, Toldo, Quagliarella. Una splendida dimostrazione d’affetto. E l'ultima che ho giocato assieme ad Alvaro. Se ho fatto gol? Sì, ma non ricordo se me l’aveva passata lui”.
Ma qui Maniero e Recoba hanno la maglia del Padova! “Eh per forza, giocavamo all’Euganeo davanti a 11mila persone”. Per stavolta, dai. A quei due, i tifosi del Venezia perdonerebbero tutto.