Stima reciproca ed amore calcistico, sentimenti che hanno legato per anni Sir Alex Ferguson e Cristiano Ronaldo. Dal 2003, anno in cui CR7 arrivò ad Old Trafford, fino al giorno del suo trasferimento al Real Madrid. Una cosa, però, il manager inglese non sopportava del fuoriclasse portoghese: “Ferguson mostrò subito cosa pensasse di un Ronaldo ragazzino dandogli la numero 7, che allo United è iconica – ha raccontato sul Daily Mail Tony Coton, preparatore dei portieri nello staff di Sir Alex - La cosa più importante, però, fu l’abilità nel riconoscerne le debolezze. Uno dei difetti di CR7 era quello di cadere troppo spesso a terra, come una bambola di peluche. Ferguon intraprese una missione per renderlo più grintoso: i membri del suo staff furono incoraggiati a ignorare i falli sistematici che venivano commessi su di lui nelle partitelle in allenamento. Non era per niente un gioco, non si facevano prigionieri. Tanto che Ronaldo spesso non si rendeva conto di quale compagno lo avesse colpito. Quando non gli veniva fischiato il fallo, alzava le braccia al cielo e imprecava in portoghese. Era un amore difficile, ma pian piano il messaggio cominciò ad insinuarsi nella mente di Cristiano”.
Poi Coton racconta altri aneddoti
sul Ferguson allenatore: “Trattava
ogni giocatore allo stesso modo e nessuno aveva privilegi. Come
allenatore dei portieri dello United tra il 1998 e il 2007 ho potuto
osservare da vicino quanto Ferguson fosse calcolatore, promuovendo le
cessioni di Beckham, Keane e Van Nistelrooy in un momento in cui
chiunque altro li avrebbe considerati indispensabili. Ricordo una
lite dopo la gara di FA Cup con l’Arsenal nel 2003, tra Beckham e
Sir Alex. L’allenatore calciò una scarpetta che colpì di striscio
il giocatore vicino l’occhio, facendolo anche sanguinare un po’.
Neville e Giggs a fatica mantennero calmo il compagno di squadra,
Ferguson si scusò ma David non ne volle sapere. I giornalisti
vennero a conoscenza dell’incidente e da quel momento metteva in
bella vista la ferita sul sopracciglio, in modo da mostrarla al
mondo; capii che quella era stata una mossa architettata dagli
esperti della comunicazione che lavoravano con lui, per incolpare
Ferguson. L’allenatore era sempre disposto a sacrificare un
giocatore stellare se sentiva che era necessario a mantenere il
controllo: era il suo primo comandamento nel lavoro”.