27 anni di solo Milan tra settore giovanile, prima squadra e panchina. Non è semplice calcio d’altri tempi. Sono valori umani che si distinguono da tutto quello che riguarda questo sport. Alberico "Chicco" Evani ha scelto i rossoneri e ci ha costruito la sua vita, questo è semplice. Per un ragazzino di 14 anni, la cosa che più spaventa dovrebbe essere l’inizio delle superiori. Per l’esterno di Massa era la clubhouse della prima squadra del Milan.
La paura di "Chicco"
"Essere chiamato da una società del genere per un ragazzino era tanta roba", ha raccontato ai nostri microfoni. "Quando arrivavano i giocatori della prima squadra sembravano extraterrestri. C’era un distacco totale, non potevi mai avvicinarti, ben che meno alla loro clubhouse". Arriva a Milanello con Sergio Battistini, insieme a lui alla Massese. "Quando siamo arrivati sembrava tutto bello. Poi però ci siamo accorti che eravamo solo dei quattordicenni catapultati da un paesino come Massa a Milano. Qualche problema c’è stato: tanti sacrifici tra scuola, sport e lontananza. Fossi stato senza Sergio non so se avrei continuato. Era come fare il militare ma a 14 anni". Per fortuna gli basta poco per arrivare in quella clubhouse. "Mi ha fatto sorridere. Li vedevo come inarrivabili e ora facevo parte di loro". La prima presenza di Evani in prima squadra è in Serie B, nel giugno dell’81. Qualche mese dopo l’esordio nella massima serie e di nuovo B nella stagione successiva. Erano gli anni delle retrocessioni e del fallimento dietro l’angolo.
Il fattore doppia B: Baresi e Berlusconi
Evani rimane, e insieme a lui un certo Franco Baresi, che già si era ben affermato. "Era cresciuto nel settore giovanile, la maglia se la sentiva e se la sente tatuata addosso. Era un ragazzo di poche parole, ma si faceva capire con l’esempio, la miglior forma di comando". L’atto di fiducia dell’esterno negli anni verrà ripagato, anche grazie a Silvio Berlusconi. "È sempre stato affettuoso, generoso e lungimirante. Aveva preso il Milan sull’orlo del fallimento e nonostante quello il primo giorno a Milanello ci disse che la squadra sarebbe stata prima in Italia, in Europa e nel mondo. In quel momento era difficile credergli. Non era ancora quel personaggio che è diventato. Quello che aveva già in testa, noi lo abbiamo realizzato qualche anno dopo in campo". Tre scudetti, due Champions League e un posto assicurato tra le grandi squadre di sempre nel giro di dieci anni. "Ti sentivi sicuro giocando con loro perché era una squadra che andava a memoria, tutti collegati tra loro. Anche quando eri in difficoltà ti aiutavano, facevano vedere meno la giornata negativa".
"Presidente, con le p***e piene non gioco"
Una squadra spaziale, ma tra tutti spiccavano i tre olandesi. In campo li conosciamo, hanno segnato una generazione. Ma fuori? "Uno diverso dall’altro. Quello più estroverso era Gullit, era esuberante, faceva un po’ l’attore. Stavamo rincorrendo il Napoli nella stagione 87/88 e stavamo facendo una delle tante cene a Villa San Martino organizzate da Berlusconi. Il presidente si stava raccomandando di fare qualche sacrificio in più, anche una volta in meno l’amore, soprattutto vicino alla partita. Gullit ha subito risposto: ‘Presidente mi scusi ma io con le p***e piene non riesco a giocare’[ride, ndr]. Van Basten e Rijkaard invece erano più silenziosi, ma per esempio Frank aveva quelle uscite svedesi alla Nils Liedholm. Sembrava parlasse serio ma faceva la battuta".
Mamma o papà?
Una squadra nell’olimpo del calcio mondiale, ma probabilmente non sarebbe stato così se non fossero stati guidati da due mostri sacri come Sacchi e Capello. "Mister Sacchi ha dato una svolta al calcio italiano ed europeo. Ha faticato, ha rischiato di essere esonerato ma ha dato il gioco alla squadra". Tutto nasce dalla famosa gara di Verona: "Perde il giocatore più forte, Van Basten, ma da lì è partita una squadra spettacolare. Capello invece capiva meglio le dinamiche dello spogliatoio essendo stato un ex giocatore. Sacchi andava sempre dritto, Capello sapeva quando spingere e quando rallentare".
Evani, la nuova vita in panchina
Da loro prende il meglio e nel 1998 inizia l’avventura in panchina nelle giovanili del Milan. Tanti i talenti passati sotto le sue mani. "Darmian e De Sciglio sono stati i primi che ho avuto negli esordienti. Li convocavo sotto età. Io avevo gli ’88, ma Darmian lo portavo sempre. Negli spogliatoi dicevo: ‘non gioca perché fisicamente è ancora indietro, ma sicuramente lui farà il calciatore’. Sono contento che sia arrivato a questi livelli. Quando vedo qualcuno dei miei ragazzi arrivare a grandi livelli è come se ci arrivassi anch’io un’altra volta". Il signor Evani di mestiere plasma talenti. Lo fa al Milan e poi alla Nazionale. Ora ha tutte le carte in regola per l’occasione giusta. "La mia speranza è quello di riuscire a trovare una squadra per continuare a fare quello che mi piace fare e quello che ho dimostrato di saper fare. È il buon proposito per il nuovo anno". Ora quella clubhouse che faceva tanta paura è solo un ricordo. "Chicco" la guarda da lontano, come si guarda la piazzetta dove sei cresciuto con i tuoi amici. Per noi equivale a quella pallonata sulla finestra, per Evani a un pezzo di storia del calcio italiano e mondiale.