Dai uno sguardo alle sue braccia e capisci da dove viene. Berlino da un lato e Teheran dall’altro: “Mi sento un tedesco-iraniano”. Quei due tatuaggi lo raccontano, un episodio di 12 anni fa l’ha marchiato a fuoco.
È il 2007, Ashkan Dejagah gioca nell’U21 tedesca ma si rifiuta di scendere in campo contro Israele. Motivi politici: “Lo faccio per la mia famiglia”. Si scatena un polverone. Theo Zwanziger - ex presidente della federazione tedesca - si schiera contro di lui: “Un giocatore che indossa la nostra maglia deve identificarsi con i valori di questo paese”. Mentre Friedbert Pflüger - ex capogruppo parlamentare della CDU - definisce il suo comportamento “inaccettabile e indecoroso”.
Dejagah viene accusato di essere razzista e antisemita, ma verrà perdonato nei mesi successivi dopo aver spiegato il suo caso alla stampa: “Il governo iraniano non riconosce Israele e proibisce ai cittadini di entrare nel paese, ti fanno molti problemi. L’ho fatto solo per la mia famiglia”. Nel 2007 a capo dell’Iran c’era il governo di Mahmud Ahmadinejad, noto anti-sionista (definì l’Olocausto “una falsa leggenda”), i rapporti internazionali tra i due stati erano più tesi che mai.
DEJAGAH, ANDATA E RITORNO IN IRAN
Iraniano sui generis, non sa scrivere in persiano e non pratica il Ramadan perché “non è compatibile con il mio lavoro”. È il capitano di Queiroz in Coppa d’Asia e ha già siglato due gol decisivi (l’Iran giocherà contro la Cina ai quarti di finale). Anche se ha giocato con le giovanili della Mannschaft per diversi anni: c’erano Ozil, Aogo, Khedira, Fabian Johnson, Gonzalo Castro e infine Dejagah. Un elogio alla multiculturalità che vincerà l’Europeo Under 21 del 2009, l’anno in cui Ashkan trionfa in Bundesliga con il Wolfsburg di Dzeko.
Poi Fulham, Al Arabi, di nuovo Wolfsburg e infine Nottingham Forest. A 32 anni dice addio all’Europa. Nel 2018 decide di giocare per la prima volta in Iran e firma per il Tractor Sazi, ma al suo arrivo è subito polemica: il comitato etico del paese lo convoca a rapporto perché non apprezza i suoi tatuaggi, simbolo di “occidentalizzazione e scarsa professionalità”. Tutto risolto poi.
Oggi è uno dei simboli di un Iran che sogna in Coppa d’Asia: 4 partite, 4 vittorie, zero gol subiti e 9 segnati. Due da Dejagah, il vice-capitano dell’Iran che non sa scrivere in farsi.