Riflessi, non solo in campo: passa un solo squillo e David Raya risponde alla nostra chiamata. Il tono di voce è sereno e gioviale. Ci saluta in un inglese perfetto e ci dà il benvenuto alla Ciudad del Futbol de Las Rozas, sede del ritiro della Nazionale spagnola. È in camera, dopo una mattinata di allenamento. Sorridente e carico, così il portiere del Brentford e della Selección di Luis Enrique si racconta in esclusiva a Gianlucadimarzio.com, tra calcio, scelte di vita, tatuaggi e videogiochi.
Oggi, a ventisette anni, è alla sua terza chiamata con la Roja. Non era mai stato nel giro delle nazionali giovanili: “Ho lasciato la Spagna da ragazzino e ci ho messo sei anni per trovare la titolarità tra i grandi, in League One, la terza serie del calcio inglese”. Nel mezzo, un’esperienza sui campi di fango della National League (l’equivalente British dell’Eccellenza) e diciotto mesi relegato in panchina per colpa di una clausola nel contratto. Ora para in Premier con il suo Brentford: “Meglio tardi che mai”, scherza. “Ho ancora tempo, punto il Mondiale e sogno di giocare in Champions”.
Start: Blackburn, 2011.
The journey, il viaggio, inizia nel 2011. “Avevo appena compiuto sedici anni, non parlavo l’inglese ed ero abituato al sole della Catalogna. Mi ha chiamato il Blackburn per un provino e mi hanno preso: i primi mesi in Inghilterra non sono stati facili. Col tempo mi sono ambientato, con l’aiuto di una famiglia che viveva a due passi dal centro di allenamento ed era stata per lungo tempo a Malaga. Oggi siamo ancora molto legati: sono la mia seconda casa”. La prima, invece, resta in Spagna: “I miei genitori mi hanno sempre supportato. Prima di partire mi hanno detto: ‘Questa sarà sempre casa tua: se non dovesse andare bene, puoi tornare quando vuoi’.”
Il sacrificio della quinta serie e la panchina... per una clausola
Le cose, invece, girano nel verso giusto. “Dopo due anni e mezzo nelle giovanili ho sentito il bisogno di partire in prestito a giocare nel ‘calcio vero’. Al Southport, in National League (la quinta serie del calcio inglese), mi hanno insegnato tantissimo. Vedevo gente che combatteva sul campo mentre nella vita, per portare a casa il pane, faceva un altro mestiere. Per loro vincere una partita ha un grande impatto sullo stipendio, è importante per arrivare senza difficoltà a fine mese. Sono persone vere, al cui fianco sono diventato un uomo”.
“Sono rientrato al Blackburn e, dopo un anno da numero 12, sono diventato titolare. O almeno, credevo di essere diventato titolare. Invece ho giocato dall’inizio le prime cinque partite, poi mi hanno relegato a riserva per i successivi 18 mesi”. Un anno e mezzo senza scendere in campo. Il motivo? “La squadra non girava, quindi hanno provato a cambiare portiere. In più nel contratto era previsto il rinnovo automatico in caso avessi giocato sei partite in campionato. Beh… ne ho giocate cinque”. Sorride amaro, poi ci ripensa: “Non rimpiango nulla, le difficoltà ti fortificano”.
La scalata: dalla League One alla Premier (con i piedi da "numero 10")
Passo passo, nel 2017, arriva la titolarità, dopo la retrocessione in League One. La vera scalata comincia qui: “Quell’anno ho giocato 45 partite e siamo stati promossi”. Raya, poi, si conferma in Championship e lo acquista il Brentford: “La filosofia del club era perfetta per me: una squadra giovane, che gioca a calcio costruendo dal basso”. Sì perché – piccola particolarità – “Raya è un numero 10 fatto a portiere”: parola di Jurgen Klopp, non uno qualunque. Infatti, David è considerato uno dei migliori ‘ball-playing goalkeepers’ d’Europa. Il segreto? “Da ragazzino, in Spagna, giocavo sempre a futsal e a calcio a 7 con gli amici. In che ruolo? Non in porta: era noioso. Preferivo essere al centro del possesso”.
Con il Brentford arriva la prima esperienza in Premier. All’esordio assoluto, clean sheet contro l’Arsenal: “Non un cattivo inizio”, dice col sorriso a trentadue denti. Poi, però, un brutto infortunio lo tiene fermo per tre mesi. Una volta guarito, torna al campo d’allenamento travestito da… dinosauro (tra le risate generali): “Dovevo celebrare il ritorno in campo. In quattro anni sono passato dalla League One a sfidare Ronaldo, Kane, Kanté, Vardy…”. I primi due se lo ricordano bene: li ha annullati, tenendo la porta inviolata. “E con gli altri due ho scambiato la maglia”. Ma la parata più bella è quella contro Diogo Jota del Liverpool: “Con un bel riflesso ho deviato il suo tap-in e ho pregato: ‘Per favore, non entrare’. È finita in calcio d’angolo”.
In tutta la chiacchierata si nota una caratteristica fondamentale: l’umiltà. E infatti, quando gli chiediamo chi siano i migliori portieri di Premier, non si include: “Primo Alisson, poi Ederson, De Gea, José Sa e Sanchez. Io non ci sono, penso a lavorare: stiamo preparando due partite importanti di Nations League”. Con Luis Enrique che allena… dall’alto: “Guarda sempre l’allenamento dalla terrazza e con un walkie-talkie ci dà le indicazioni”.
Dai Pokemon alle serie tv. "E il mio rating di FIFA deve essere migliore"
Lavoro, ambizione, audacia. Ma ogni tanto ci vuole anche un po’ di riposo. “Sono molto appassionato di videogiochi, a casa ho anche il visore per la realtà virtuale. Ultimamente sto giocando a ‘Escape from Tarkov’ e sto aspettando il nuovo FIFA, sperando che il mio rating sia migliore: devo essere almeno oro dai…”, dice ridendo. “Un’altra mia passione sono le serie tv: con la mia ragazza sto guardando Peaky Blinders, poi adoro Game of Thrones, Breaking Bad e Prison Break. E da bambino sono cresciuto con Dragon Ball e i Pokemon, per questo ho deciso di tatuarmeli sulla gamba destra (in foto sopra). Ma il lavoro è ancora da finire: devo aggiungere Detective Conan, Holly&Benji e Yu-Gi-Ho”. Dalla tv di casa, a Pallejà - venti chilometri da Barcellona - ai teleschermi del mondo intero come giocatore di Premier. “Tanta dedizione, ancor più audacia: no regrets, la vista ora vale il viaggio”.