Fino a qualche mese fa assistere a una partita del West Ham era un’esperienza di calcio totale. Non che adesso la società non esista più, ma il passaggio da Upton Park all’Olympic Stadium mi obbliga a parlare al passato. Lo scorso sabato, in occasione del match tra la società dell’East End londinese e lo Stoke City, ho avuto l’opportunità (più che la fortuna) di visitare il nuovo impianto. Non ero poi cosi entusiasta all’idea ma dopo aver letto e sentito tantissime critiche riguardanti non tanto la distanza delle tribune dal campo quanto l’organizzazione e la cattiva gestione della società di eventi di grosso calibro, ero curioso di testare dal vivo i tanti malumori espressi dai tifosi.
Il primo “colpo al cuore” lo si ha subito: fino a maggio arrivare allo stadio era uno dei tratti più caratteristici della giornata. Usciti dalla metro, si scendevano le scale esterne della stazione e si percorreva la Green Street tra un mercato rionale, un pub storico, le bancarelle dei tifosi che vendevano i più svariati gadget e i chioschetti dove ci si poteva rifocillare con un fish & chips o un hamburger ripieno prima di qualche birra con gli amici. Anche i prezzi erano più che ragionevoli o comunque “onesti” per una partita di pallone. Da quest’anno invece è cambiato tutto: usciti dalla metro di Stratford si possono scegliere due differenti percorsi. Il primo è quello che attraversa il centro commerciale di Westfield, tra turisti e locali impegnati nelle sfrenate spese del weekend, il secondo è quello che obbliga ad attraversare uno dei ponti che collegano la metro allo stadio. Dimenticatevi i pub, i chioschetti o i venditori di sciarpe e maglie, bisogna solo camminare, camminare e camminare in mezzo al nulla magari travolti da una fredda e tagliente pioggerellina british.
Prima di arrivare a ridosso dello stadio si incontra qualche bar dove è possibile gustarsi una birra ancora prezzi modici (4,50/5 sterline per una pinta) prima di vivere sulla propria pelle il più totale squallore nel quale il West Ham United si è immerso. Arrivati ai piedi dell’impianto l’atmosfera sembra subire un totale stravolgimento. All’improvviso non sembra più una partita di calcio ma quasi più un’evento totalmente estraneo allo sport come un concerto o una manifestazione. Qui ricompaiono i chioschetti è vero, ma i prezzi, rispetto a prima, sono quasi raddoppiati: fino a 12 sterline per un panino e una birra, neanche foste a Central Park o in qualche ristorante di lusso di una qualsiasi capitale mondiale.
Il via vai di persone è tanto impressionante quanto confuso: la gente non sa bene dove andare, si scatta qualche foto ma vaga senza una meta precisa anche grazie a un’assenza quasi totale di indicazioni. Una volta passati i tornelli lo stadio è interamente aperto a tutti: che voi scegliate di andare a destra o a sinistra vi sarà possibile circumnavigare l’impianto e qualora troviate qualche posto libero sedervi in una posizione migliore rispetto a quella a voi assegnata quando avete prenotato il biglietto. Qualora scegliate di essere onesti e sedervi nella postazione a voi assegnata, solo dopo aver fatto a spallate e gomitate per poter attraversare la folla assiepata nei bar a ridosso degli spalti, vi sarà possibile “ammirare” il terreno di gioco. A dire la verità, il preludio all’esperienza che ci si appresta a vivere lo si ha qualche metro prima di arrivare sulle tribune quando dal nulla compaiono dei venditori di pop corn, neanche fossimo al cinema o a qualche evento teatrale.
La partita scorre serenamente, forse anche troppo, tra tifosi con i cannocchiali impegnati a scrutare l’azione di gioco e un silenzio tombale che tutt’altro sembra fuorché una partita del West Ham. Quando l’incubo sembra finito, ecco la ciliegina sulla torta: una volta usciti, dopo un regolare deflusso, si viene letteralmente imbottigliati insieme a altre migliaia di persone, verso la stazione della metro. Code infinite, totale confusione e polizia impotente. Dopo circa 20/30 minuti di attesa si riesce finalmente a raggiungere il binario e prendere un treno per allontanarsi il prima possibile da quella cosa che in pochi credono possa essere diventata uno stadio di calcio ma soprattutto lo stadio del West Ham. E’ difficile accettare, per chi come me è appassionato di questo calcio e queste realtà, che la squadra storicamente più operaia e popolare della capitale inglese, nonostante abbia un bacheca vuota ma che ha sempre potuto contare sul supporto costante e incondizionato dei propri tifosi,possa essere stata trasformata in un enorme prodotto commerciale.
Sin da inizio stagione si è potuto assistere a un totale e sempre crescente allontanamento dei tifosi. Anche i più ottimisti si sono dovuti ricredere difronte all’evidenza. Il West Ham United non è più la squadra del popolo. Il West Ham United non è più il family club che era prima. Qualcosa si sta rompendo, la tensione è sempre più alta e chi quella squadra ce l’ha tatuata sul petto vede questo cambiamento più come un tradimento da parte dei dirigenti, rei di aver trasformato il club in un grande e confuso giocattolo in grado di attrarre turisti e curiosi, che un cambiamento in grado di ridare spolvero e nuova linfa vitale alla squadra. Moltissimi tifosi in questi primi mesi ha scelto di prendere le distanze: è il caso degli Italian Irons, il gruppo italiano dei tifosi del West Ham che hanno deciso di non presentarsi più allo stadio finché le cose non cambieranno. La loro idea è chiara: non siamo clienti pronti a spendere qualsiasi cifra, siamo i tifosi del West Ham United e come tali vogliamo essere trattati. A loro han fatto seguito le proteste congiunte di molti supporters storici che hanno visto alcuni di loro cedere o vendere per il resto della stagione il proprio abbonamento.
Insomma, nell’east end la situazione è molto più complicata di quanto in molti si aspettavano. Manca l’organizzazione, manca la capacità gestionale di eventi sportivi di tale portata e manca soprattutto la passione di chi questa situazione l’ha voluta e gestita più per un proprio tornaconto personale che per il bene del club. A risentirne in primis sembrano essere proprio i giocatori, sino a questo momenti incapaci di riprodurre il gioco brillante espresso durante la scorsa stagione. La zona rossa della classifica è lontana un solo punto ma, questa volta, l’ostacolo da superare non è solo la stabilità psicologica della squadra.Si tratta di riunire e riassemblare una tifoseria spaccata a metà e incapace di ricreare quell’atmosfera tanto unica quanto ostile che ad Upton Park garantiva alla squadra 20 punti in più ogni stagione, come dichiarato dallo storico capitano degli Hammers, Mark Noble. Dall’inizio di una possibile nuova era di successi a una possibile retrocessione. Qualcuno, da quelle parti, deve aver sbagliato qualcosa.
Andrea Pettinello - Il Calcio Inglese