La vittoria contro l’Ascoli ha riaperto le porte del paradiso. Strana la vita: un anno fa, proprio contro i bianconeri, era arrivata la salvezza all’ultima giornata. Un miracoloso recupero di Gastaldello al 90’ aveva scongiurato i playout contro l’Entella.
UN CONDOTTIERO BRESCIANO A INDICARE LA VIA
Sono passati soltanto 347 giorni. La squadra ha cambiato faccia più che facce. Il presidente Cellino in estate aveva affidato la panchina a David Suazo. “L’uomo giusto nel momento sbagliato”, disse di lui il presidente poche ore dopo averlo esonerato. Era il 18 settembre, il Brescia aveva fatto due punti in tre partite.
L’uomo giusto al momento giusto era dietro l’angolo. Un bresciano di Bagnolo Mella: Eugenio Corini. Una telefonata, un incontro, un matrimonio. Le cifre raccontano com’è andata: 31 partite, 64 punti fatti, 63 gol segnati. Un’identità tattica precisa, con un 4-3-1-2 usato praticamente sempre, ma soprattutto una rivoluzione mentale: recupero palla più alto possibile per liberare la fantasia dei dioscuri offensivi, chiamati a essere terminali e primi difensori veri.
Sacrificio, pressing ossessivo, freddezza e coraggio, anche nel relegare a seconde scelte due giocatori fortemente voluti da Cellino in estate come Morosini e Tremolada. Talenti sacrificati sull’altare dell’equilibrio di squadra. Perché in una maratona conta più la regolarità dello spunto e il Brescia ha saputo essere chirurgico. Schiacciasassi in casa – 40 punti in 15 partite con Corini – e cinica fuori. Le urla di Corini a bordo campo, una banda di assatanati pochi metri più in là. Una squadra geneticamente inadatta ad arrendersi: 19 punti recuperati da situazioni di svantaggio e una serie infinita di gioie a pochi respiri dal triplice fischio: Lecce, Cremonese, Cosenza, Livorno, solo per citare le principali. Vittorie da raccontare in città, magari bevendosi un “pirlo”, la versione locale dello spritz (niente a che vedere col Maestro). Così è (ri)nato l’amore fra Brescia e il Brescia.
IL RAGAZZO DEL 2000 E IL CAPOCANNONIERE GENEROSO
Al Rigamonti hanno visto passare Hagi, Pirlo (quello analcolico), Baggio e Guardiola ma hanno amato allo stesso modo Possanzini e i gemelli Filippini. Perché questo popolo riconosce la magia ma gode più per un contrasto vinto o per una rincorsa. E così a gente del Rigamonti ha guardato Sandro Tonali e non ha rivisto Pirlo, al netto della somiglianza estetica. Di quel ragazzo del 2000 ha colto l’anima, identificandosi in lui e nella sua voglia di non arrendersi mai. Nella partita contro lo Spezia di qualche settimana fa, tutto lo stadio si è alzato in piedi per un’azione in cui il 4 ha rubato palla con una spallata, ha resistito a uno scontro, portato palla contro la pressione e preso fallo. Una giocata da “gnaro” bresciano, meglio di un gol.
Poi certo quelli qualcuno deve pur farli se vuoi vincere un campionato. E se in estate lasci andare uno che ha segnato 179 volte per il tuo club, devi trovare uno che sappia rimpiazzarlo. Il Brescia ha ammainato una bandiera e issato un nuovo vessillo: via Caracciolo, dentro Donnarumma. Sembrava una martellata al cuore, ma se nessuno ha provato una nostalgia infinita per l’Airone, è “colpa” di Alfredo: 25 gol, capocannoniere e primo calciatore a segnare tre triplette in una stagione di B. Classe 1990, promosso in A con l’Empoli un anno fa, era rimasto deluso per le scelte estive del club toscano. Veniva da una stagione strepitosa: 21 gol e 5 assist. Ha cambiato maglia ed è riuscito a fare ancora meglio, con 25 e 7. Andare a caccia di record personali lo lascia indifferente. Meglio uno sprint in più per pressare i portatori di palla o magari un sorriso in più dei compagni di reparto. In passato ha reso grandi Lapadula e Caputo, quest’anno è successo di nuovo con Ernesto Torregrossa.