C'era qualcosa di strano. Portici stipati. Diluviava, sai che novità. Code interminabili ai semafori dei Viali, ombrelli e mantelle coloravano una Bologna sfumata dal solo grigio del maltempo. L'acqua scendeva con la classica cadenza emiliana: "A secchiate". A un tratto il battere della pioggia viene sopraffatto da una musica inedita. Forte. Potente. Decibel altissimi. E due parole "The Champions". Lo stadio Dall'Ara era poco distante. Mercoledì: Champions League. Il Bologna di Italiano stava giocando con lo Shakhtar Donetsk. Dopo sessant'anni i rossoblù e la città hanno rivissuto le emozioni più intense che il gioco del calcio potesse regalare. Storia: la loro.
L'Europa "nelle mani" del Bologna
"Papà ma tu lo ricordi il Bologna in Champions League?". Sugli spalti. Lui, un "cinno" di circa otto anni. Con il suo papà a vedere una partita dell'Europa che conta. Sciarpa al collo, il padre, come tradizione impone sotto la Maratona. Felpa casual con cappuccio e logo del Bologna FC, il ragazzo. Generazioni a confronto. "Eh, ragazzo mio, non lo posso ricordare". Non c'era nemmeno lui quando nel lontano 1964 il Bologna giocava la sua ultima competizione continentale. Così lontana da avere, nel frattempo, cambiato il nome dall'allora Coppa Campioni a Champions League. Troppo distante per ricordare come sia finita. Per colpa di una mano. Quella dell'arbitro della terza sfida spareggio con l'Anderlecht. Monetina sulle dita. Uno sguardo in alto e...cadde. Testa o croce. Vinsero gli olandesi. "Nooo!". Il racconto s'è interrotto. Mani sui capelli per il cinno. Tre minuti era già rigore per lo Shakhtar. Netto. Dall'Ara congelato. Sotto il diluvio. Il ragazzo si avvinghiava al braccio del padre. Rincorsa di Sudakov: boato dello stadio. Skorupski ha parato. Anche sessant'anni dopo. L'Europa rossoblù è ripartita come s'era interrotta. Per mano di una...mano. Anzi due: quelle del numero uno di Vincenzo Italiano.
Sessant'anni dopo, una nuova storia
Assiste. Si lascia trasportare. "Ma sa fet?". Posch ha bucato un intervento. Critico? No, teso. Quel ragazzo era la rappresentazione di uno stadio intero. La Champions qualcosa di unico. Vederla. Gustarla da vicino non capita spesso. "Sì Orso!". Orsolini ci ha provato col sinistro a giro fedele al prato del Dall'Ara. "Hai visto?". Il mestiere del papà non deve essere facile.
L'ora di alzarsi in piedi. Italiano ha deciso di cambiare, Fabbian viene sostituito. Se quel tiro dell'ex Inter al 51esimo non si fosse infranto su Riznyk, con grande probabilità, un "cinno" ne avrebbe visto segnare un altro nella Europa dei "grandi". "Ma perché?". Altro sussulto. Scuoteva papà. Mentre insieme cantavano tutto l'affetto per il Bologna: "Mi innamoro se vedo segnare il Bologna". Del gol, però, solo l'illusione. Ma il rosso della passione, in fondo, col blu si sposava alla perfezione.
Ultimo calcio d'angolo. Miranda sulla bandierina sotto la tribuna. Boato. Incitazione pura. "Peccato!". È finita così: 0-0. Gli sguardi dei due si incrociarono. Papà sussurrava qualcosa all'orecchio del giovane tifoso. "Andiamo a vincere a Liverpool contro Salah". Forse non ci ha creduto. Ma quel "cinno" questa sera, senza dubbio, ha ripercorso la storia. La sua e quella del papà. E con loro uno stadio intero. Anzi una città: Bologna.