Lui e Gozzi. Insieme in difesa, separati da pochi centimetri in campo, da 20 anni fuori. Il padre che indica al figlio di stringere la propria posizione, che lo esorta a salire insieme al resto della linea. Che lo abbraccia nel tunnel prima dell’esordio. Il settore ospiti del Mazza canta per Barzagli, ma lui ringrazierà solo a fine partita. Troppo impegnato a guidare una Juventus mai così giovane. Troppo felice di essere tornato a scattare con la sua 15 fra l’attaccante e la palla.
Otto anni fa Andrea metteva piede a Torino, diventando padre della piccola Camilla. Dybala giocava nella B argentina con l’Instituto per appena 4mila pesos annui, il minimo sindacale. Otto anni fa la Juventus di Conte raccoglieva le prime vittorie.
Otto potevano essere anche gli scudetti. Barzagli sembrava tornato apposta per festeggiare a Ferrara, ma Floccari gli ha rovinato i piani. Questione di tempo, comunque. Come quello che manca alla sua ultima partita da calciatore. Un anno fa fu il primo ad abbracciare Buffon nel giorno del suo addio. A questo giro la scena sarà simile. Non esattamente uguale solo per il fatto che Gigi, nel frattempo, è volato in Francia e non potrà stargli accanto.
Ma una chiamata la riceverà sicuramente. Barzagli dirà basta dopo questa stagione. Maledetta, con tre infortuni a farlo soffrire. Preziosa, perché gli ha fatto capire che forse è giunto il momento di fare altro. Restando sempre nel calcio, magari ad insegnare piuttosto che apprendere: “Perché lui è un maestro della difesa” per dirla alla Allegri. Colui che, da quanto dice, in difesa ce lo ha messo. Stagione 2000-2001, i due giocano insieme alla Pistoiese. Max, che inizia a ragionare da allenatore, va da Pillon e parla chiaro: “Sposta Andrea dietro e vedrai”.
La prima di una lunga serie di intuizioni. Otto anni fa non c’era lo Stadium. Il logo era ancora quello vecchio, Ronaldo si preparava a fare grande il Real. Otto anni fa Barzagli arrivava settimo con la Juventus di Delneri, preludio alla BBC dei trionfi e dei record. Lui, arrivato per soli 300mila euro. Tornato in Italia completamente diverso da come l’aveva lasciata.
Nel 2006 vince il Mondiale da gregario, crede di meritare un top club e finisce con l’accettare malvolentieri il Wolfsburg: “Non mi piace la tua scelta” Gli dice Lippi; “Sai perché sei sempre infortunato e ti alleni male? Perché sei il primo a pensare di non farcela”: Parole di Felix Magath, che lo sgrida in tedesco e lo cambia. E’ lì che nasce il muro.
Non toccherà quota 300 presenze con la Juventus per poco. Con la Spal la sua squadra ha perso, ma sul viso gli esce un sorriso. Finalmente è tornato a finire una partita. Ci aveva provato anche con l’Udinese, di nuovo in campo dopo tre mesi di stop. Il polpaccio, però, gli tira dopo 25’. Esce con la faccia di chi sa che, purtroppo, sta finendo una pagina importante della propria vita.
Che lo ha visto diventare campione del mondo. Che lo ha visto nel Chievo dei Miracoli (sì, era l’ultimo in attività di quella squadra). Che lo ha visto alzare al cielo 15 trofei (presto saranno 16) con la Juventus. Che lo ha visto piangere per il dolore, come nel 2014, quando – dopo aver stretto i denti per giocare il Mondiale – si vede costretto ad operarsi in Finlandia al calcagno del piede destro.
Una fitta terribile, che gli impedisce di andare in bagno da solo. E che lo porta a pensare al ritiro. Invece, la scorsa estate, l’ultimo rinnovo: “Ancora un anno, poi vediamo” Le sue parole. Accanto a lui, a firmare il proprio contratto, anche Chiellini, che continuerà fino al 2020. Chissà, magari con Barzagli come maestro, che continuerà a portare il suo vino negli spogliatoi dopo un trionfo. Smettere, alla fine, è traumatico. Ma il capitolo che si apre può essere molto simile a quello che si sta chiudendo.