Come una scossa, di quelle in grado di cambiare il corso di una partita e dare un messaggio ad avversari e compagni di squadra. Valerio Di Cesare l'ha data al minuto 40 di Bari-Catania, con la sua squadra sotto di una rete. Il capitano biancorosso ha preso palla a 35 metri dalla porta avversaria, l'ha portata nell'area ospite e ha smesso i panni del difensore per indossare quella del giocoliere: finta su Calapai, sterzata su Maldonado, destro a giro nell'angolo opposto.
Pareggio e viatico per il 4-1 finale con l'autorete di Claiton e i primi centri in biancorosso di Montalto e Citro. Una prodezza da numero 10 per un centrale di difesa che non ha mai perso il feeling con il gol. Con la maglia del Bari sono 13, semifinale playoff della scorsa stagione inclusa, in tre campionati diversi e due distinte esperienze: prima una stagione e mezzo in B dal 2015 al 2017, poi il ritorno in biancorosso nell'estate 2018 per accettare la sfida della Serie D e la ricerca della risalita tra i pro.
Il Di Cesare 2.0 ha riscritto il suo rapporto con Bari e "la" Bari, ma anche i numeri. Meglio di lui come difensore-goleador in biancorosso ora c'è solo Giovanni Loseto, icona che la maglia biancorossa l'ha vestita per 11 stagioni con 318 presenze e 16 reti, coppe incluse. Di queste, 13 sono state messe a segno tra A e B.
"Valerio l’ho allenato quando ero nello staff tecnico di Davide Nicola, in B - racconta Loseto a Gianlucadimarzio.com - ha sempre avuto il fiuto del gol e sta migliorando di anno in anno. Sono felice per lui, è un ragazzo che merita tanto".
Parole di chi in carriera ha rappresentanto un simbolo per la storia biancorossa, tanto che il Bari nel 2016 ha ritirato la sua maglia numero 2. 'Giuann dang nu tuzz', ossia "Giovanni, dagli una testata" era la richiesta in vernacolo che i tifosi gli facevano dalle tribune, evocando le sue doti di marcatore puro e il grande carattere.
"Devi essere leader in campo e fuori - spiega Loseto - ora sto vedendo un Di Cesare più trascinatore della squadra. Credo sia maturato tanto, è molto sicuro in ogni giocata, si sta anche adattando a giocare da centrale di sinistra nella linea a tre".
Però forse quel gol in bello stile ai suoi tempi non l'avrebbe segnato: "Oggi le difese scappano, giocano poco sull'avversario. Diciamo che non sarebbe arrivato in area così facilmente" sorride. E aggiunge: "Cosa manca oggi alle difese? Si sta poco sull'uomo, si usano pochi trucchetti: ad esempio il piede sulla scarpa per evitare di far saltare l’avversario. E pensate a quanti falli da rigore fanno, non è solo perché è cambiato il regolamento: c’è la scarsa attitudine a marcare a uomo. Oggi ercano fisicità e capacità di impostare. Io oggi allora non dovrei marcare. Si tempo nostro rubavamo la palla e la passavano ai centrocampisti. In primis devi marcare a uomo. A zona se sei intelligente ti diverti". E lui lo ha fatto: "Ai tempi di Catuzzi, che Bari".
In campo Loseto è stato un sanguigno, come Di Cesare oggi.
Se gli nomini Bari i ricordi si accavallano ("Penso alla meravigliosa stagione fallimentare, quando arrivammo in semifinale playoff. Quello che abbiamo vissuto in quei quattro mesi é stato indelebile"). In città ancora ricordano la sua marcatura, pressante ma corretta, su Diego Armando Maradona, nell'incontro di girone preliminare di Coppa Italia 1988-1989 del 24 agosto 1988, vinto 2-0 sul Napoli. "Con il Bari ho vinto tre campionati, so cosa significa". E sa cosa vuol dire segnare in biancorosso: "Due gol nel cuore? Quello al Lecce in un pari in trasferta per 1-1 e uno da 30 metri contro l'Inter a Bari nel 1985, con Zenga in porta. Perdemmo 3-1 ma quel gol lo ricordano ancora". Prima dell'estetica, però conta il risultato. Un concetto ribadito anche da Di Cesare dopo il 4-1 al Catania: "Ha ragione, la gente si ricorda cosa hai vinto. Gli auguro di farlo e magari di segnare ancora. Se dovesse sorpassarmi in cima alla classifica dei difensori goleador? Ne sarei felice".
Credit foto Di Cesare: Tess Lapedota