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Barco: dalla povertà al sogno americano a 18 anni, con una Copa Sudamericana vinta da protagonista

Per segnare un rigore decisivo in finale di Copa Sudamericana, al Maracanã e nel giorno della tua ultima partita con il club che ti ha lanciato servono coraggio e sfrontatezza, doti che non mancano a Ezequiel Barco, nonostante i soli 18 anni.

El Turri voleva lasciare un bel ricordo di sé prima di partire per la MLS, dove lo aspettano il Tata Martino e il suo Atlanta United. Il miglior modo era decidere la partita più importante degli ultimi anni dell’Independiente, quella che consegna al Rojo il nono titolo internazionale, il primo dopo la retrocessione del 2013. Ed è riuscito nella sua missione.

Senso della responsabilità e grande umiltà, valori ereditati dalla famiglia, da sempre il suo esempio di vita. La madre ha deciso di rimanere a fare la donna delle pulizie nonostante il figlio fosse diventato un calciatore professionista: fu lei a permettere a Barco di lasciare Gálvez, il paesino della provincia di Santa Fe dove vive la famiglia, per inseguire il suo sogno di diventare un giocatore. Diversa invece la scelta del padre Omar che aveva giurato di seguire suo figlio nella sua esperienza da professionista e che ora vive assieme all’altro suo figlio maschio nella Capitale.

Famiglia umile, come detto, tipica di certe zone dell’Argentina: vivevano in una casa con il tetto in lamiera e l’importante era solo avere qualcosa da mangiare a fine giornata. A Ezequiel questo non è mai pesato, così come il fatto di andare male a scuola. Preferiva passare intere giornate a giocare con gli amici in un campo di quartiere con l’erba altissima, pieno di pietre e pozzanghere e con le porte fatte con le canne di bambù.

Lì venne notato il suo talento e per questo fu portato al Central Córdoba che, a dispetto del nome, è una squadra di Rosario, la grande città più vicina alla sua Gálvez. Il Central Córdoba è la squadra di una leggenda del calcio rosarino, il Trinche Carlovich, ma è soprattutto la squadra dove Barco conobbe Jorge Griffa, uno dei migliori formatori di talenti d’Argentina.

E sotto la sua guida trovò modo di farsi notare dai grandi club: Boca Juniors e River Plate però lo scartarono perché troppo piccolo e a puntare su di lui fu il Banfield. Solo che fu Griffa in persona a impedire il suo trasferimento nel sud di Buenos Aires visto che aveva trovato l’accordo con l’Independiente.

Meglio, perché al Diablo ha imparato a vivere da professionista, a curare l’alimentazione e il suo fisico. Viveva nella pensión del club, come faceva Dybala all’Instituto, e questo ha contribuito ulteriormente a formare la parte umana del calciatore. E da lì è stato tutto più facile.

I consigli di Gabriel Milito lo hanno reso un giocatore più completo, quelli di Holan invece hanno valorizzato le sue qualità principali, ossia l’uno contro uno e i passaggi filtranti. E così è arrivato a prendersi sulle spalle la squadra nei momenti critici: ha segnato due rigori decisivi in semifinale e finale di Copa Sudamericana e ha già vinto il suo primo torneo internazionale da protagonista. I dollari americani lo hanno strappato all’Independiente e per ora lo tengono lontano dai grandi club. Ma forse per un talento così l’Europa non è poi tanto lontana.

di Simone Gamberini – Tre3Uno3