Sembrava tutto orchestrato. A Maiorca, per la partita con il Barcellona, il calcio d’inizio simbolico lo hanno affidato a Samuel Eto’o. Un’immagine crudele per i tifosi del Barça, un invito a strillare davanti al televisore: “Guarda con chi giocavamo prima e con chi giochiamo ora”. Il centravanti per quell’incontro, infatti, sarebbe stato Luuk de Jong, uno degli acquisti meno digeriti dai soci nella storia recente del club.
Per farlo giocare c’era voluto un focolaio. Il Barça aveva 15 indisponibili e Xavi aveva chiesto il rinvio del match (“Sarà una follia, una partita decaffeinata”). L’allenatore blaugrana non ha ottenuto quanto richiesto e alle Baleari, di conseguenza, si è portato una schiera di ragazzini. E l’esperto Luuk de Jong, che, paradossalmente, in questa stagione ha avuto meno possibilità di scendere in campo (e di sbagliare) di tanti di loro.
Nessuno, a Barcellona, sembra sopportare de Jong. Non per qualcosa che ha fatto, visto che non ha avuto neanche il tempo di macchiarsi di chissà quale crimine, ma per quello che rappresenta. La decadenza, la corruzione dei valors su cui si fonda il Barça. L’arrivo del centravanti stangone buono per le sponde e i colpi di testa è diventato il monumento al tradimento di un ideale. Capro espiatorio di colpe di tutti meno che sue, l’olandese è stato trattato come se si fosse autoinvitato, mentre alla festa ce l’hanno portato presidente ed ex allenatore, nell’operazione dell’ultimo secondo che ha spinto Griezmann di nuovo all’Atlético.
“Superstella” per un giorno
Poi c’è stato il calcio d’inizio, quello ufficiale. Nella seconda partita in stagione in cui riusciva a giocare 90’, de Jong ha colpito due pali, uno dei quali con una spettacolare rovesciata, e ha segnato il gol decisivo, risultando migliore in campo. Ha esultato come si esulta per qualsiasi gol, nonostante non fosse un gol qualsiasi. Niente dita portate alla bocca, niente sassolini lasciati cadere. Come in questi mesi, in cui non ha mai detto una parola fuori posto, ha lasciato che parlasse il lavoro per sé. “Grande Luuk, grande niño”, gli grida Piqué in modo affettuoso.
“No, non mi sono mai sentito maltrattato. So da dove vengo e continuo a lavorare duro per quando l’allenatore avrà bisogno di me”, ha detto poi. Nessuno ha mai elogiato un attaccante per la sua educazione, eppure anche per questo suo pregio è molto difficile empatizzare con i detrattori più feroci dell’olandese. Lui, nel mentre, ha riportato il Barça ad un punto dalla Champions, che poco tempo fa sembrava un orizzonte irraggiungibile.
“Da meme a superstella”, scrivono di lui su Marca. Intanto, con Xavi che cerca un nuovo attaccante, la sua partenza è data come fatto irreversibile. Che veramente se ne vada adesso o no, chissà come i tifosi si ricorderanno di lui. Chissà se si ricorderanno di lui. Il monumento al tradimento. Oppure il centravanti educato che, nel momento del bisogno, si vestì da superstella mentre tutti i fotografi cercavano Eto’o. Ecco, così non suona tanto male.