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Data: 21/03/2017 -

Atletico Madrid, il Cholo Simeone: "Ogni volta che sento l'inno della Champions mi sento male, ho visto i miei ragazzi piangere per ben due volte"

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Il Cholismo è diventata una vera e propria dottrina calcistica, introdotta dal Diego Pablo Simeone, il Cholo, appunto. L'allenatore argentino è riuscito a portare negli ultimi anni l'Atletico Madrid a livello di Barcellona e Real, conquistando diversi titoli, riuscendo a sfiorare la Champions: le due finali perse tra Lisbona e Milano avrebbero potuto mandare ko chiunque. Non di certo il Cholo, che si è raccontato ai microfoni de "Il Transistor, programma radio di OndaCero: "E' dura dover vedere i propri figli piangere per bene due volte, però questo è il calcio e tutto ciò ti fa crescere. Ogni volta che sento l'inno della Champions mi sale un dolore molto forte, ma questa deve essere la ragione per tentare di esaudire questo sogno. A Milano è stata durissima passare davanti i tifosi del Real Madrid che festeggiavano la vittoria. Ho perso due finali di Champions e credo chiunque altro se ne sarebbe andato al mio posto. Per me è stata durissima non vincere la Coppa e sapevo che questa stagione starebbe stata ancora più difficile e non sapevo, restando, se avrei tenuto la forza sufficiente per andare avanti alla guida del club". Se dovesse dire addio all'Atletico, il Cholo direbbe addio anche a Madrid: "Per una questione di sentimento non allenerei mai il Real Madrid. Probabilmente nemmeno mi chiamerebbero, potrei allenare un altro club spagnolo, non loro. Mi ha sempre affascinato l'idea di allenare la Nazionale, però devo ancora migliorare come allenatore". Ruolo che un giorno potrebbero ricoprire alcuni dei suoi giocatori: Gabi, Godìn e Tiago hanno delle ottime doti per fare questo lavoro". E infine un proprio ritratto lontano dal campo: "Posso dimenticare tante cose, ma se c'è una cosa che non perdono è l'infedeltà. Non sono cambiato da quando sono qui, poca gente mi conosce per quello che sono davvero. Sono più nobile di quello che molti credono, ma posso dire che per diventare quello che sono ora ho avuto fortuna. Per esempio, ho incontrato gente come i vari Gabi o Godìn, che sono stati essenziali per me. D'altronde ritengo che il giocatore più importante non è quello che gioca meglio, ma quello che fa di più per la squadra".





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