Wisdom Amey è già stato il più giovane esordiente della storia della Serie A. Ora, a distanza di un anno da quel record raggiunto grazie a Sinisa Mihajlovic, il giovane Wisdom arriva a esordire dal 1' nel campionato italiano (in Genoa-Bologna, ndr).
Wisdom in inglese significa saggezza e, in qualche modo, il suo nome rispecchia il suo modo di porsi con gli altri. Fin da piccolo è sempre stato un ragazzo tranquillo. Nello spogliatoio dei Cosmos, una piccola scuola calcio di Bassano del Grappa, non era il classico ragazzino rumoroso ed estroverso. Se ne stava in un angolo, in silenzio, forse a sognare ad occhi aperti di diventare un giorno un calciatore professionista.
"Faceva diventare matti gli avversari"
Il ‘caos’ Wisdom lo faceva in campo, come ha raccontato Massimo De Cecchi ai microfoni di gianlucadimarzio.com, suo allenatore ai tempi degli esordienti: “Se non gli davi un freno, lui prendeva palla e scartava 3-4 avversari facilmente, li faceva diventare matti”. Al Cosmos è arrivato con il fratello Edem, di un anno più grande di lui, formando la scuola calcio della società veneta, che fino a quel momento era solo un squadra amatoriale fondata nel 1980 nella provincia di Bassano.
"Eravamo costretti a sostiuirlo"
Cresciuto in un settore giovanile in cui la filosofia era ‘devono giocare tutti, non si gioca per vincere ma per stare insieme’, l’unico limite superato (si fa per dire) da Wisdom era proprio quello di decidere da solo le sorti di una partita: “Se volevamo vincere, ci bastava dirgli di prendere la palla e andare a segnare”. Se lo ricorda bene Lorenzo, suo compagno ai tempi dei pulcini: “Avevamo appena subito un gol, lui ha battuto il calcio d’inizio, ha saltato tutti e ha segnato subito. Era infermabile”.
Stefano Battistella, papà di Lorenzo e dirigente dei Cosmos, ci ha rivelato che a volte si era costretti a sostituirlo per evitare che le partite finissero tutte in goleade. Tutto questo nonostante giocasse in difesa e fosse di un anno più piccolo rispetto agli altri. Lui classe 2005, ha sempre giocato con i 2004, e spesso gli avversari avevano bisogno della carta d’identità per credere veramente che fosse più giovane.
Insomma, si vedeva che era diverso dagli altri. Lui, però, non si è mai scomposto: “Se gli facevi un complimento, si vedeva che era contento ma proseguiva a testa bassa senza mai montarsi la testa e portando sempre rispetto agli avversarsi”.
Testa che gli è sempre rimasta attaccata al collo, grazie all'educazione di mamma, che non mancava mai alle partite, e del papà, che lo portava sempre agli allenamenti dopo il lavoro. La strada è ancora lunga, ma chissà se mai avrebbe immaginato di diventare il più giovane di sempre a giocare in Serie A in uno dei suoi lunghi silenzi dentro lo spogliatoio.