“Eh, bravo Pastore, bellissimi i due gol di tacco ma con la palla a terra sono buoni tutti. Io in quel derby la presi in aria…”. Ride Amantino Mancini. Quella magia gli passa di nuovo davanti agli occhi. Era il 9 novembre del 2003. Punizione dalla destra di Cassano, taglio del brasiliano e tacco di destro al volo sul palo lungo. Quattordici anni prima, a Berlino, in quei minuti cadeva il muro e un popolo unito si abbracciava per strada. Quel giorno invece, solo una parte di Roma festeggiò. Quella giallorossa, quella che lo ribattezzò subito “il tacco di Dio”.
“Quando vidi la palla in rete, mi misi a correre verso la Sud. Sentivo il boato e non capivo niente. Un ricordo indelebile”, racconta in esclusiva a gianlucadimarzio.com. “Fu il mio primo gol in serie A, non potevo scegliere un modo migliore”. Contro la Lazio allenata da Roberto Mancini, l’uomo a cui Alessandro Faioli Amantino deve il nome con cui oggi è conosciuto. “Fu Toninho Cerezo a chiamarmi così. Aveva giocato con Roberto alla Samp, disse che io gli assomigliavo e così da mansinho (mansueto) il mio soprannome divenne Mancini”. Una “s” nella pronuncia al posto della “c” e due destini attraversati da prodezze con il lato b del piede.
Il Mancio sbalordì il mondo, beffando Buffon a Parma nel ’99. Poi, il suo mondo si ribaltò all’Olimpico. Da carnefice a vittima.
“Credo tanto in Di Francesco. È un grande tecnico e anche in un momento di difficoltà come questo, lui è la certezza su cui fare affidamento. L’anno scorso ha fatto vedere un calcio offensivo di grande livello, come piace a me. Da lui bisogna ripartire”.
Eppure la classifica dice 8 punti in 6 gare. Bilancio magro per un club di vertice. “Purtroppo il livello della squadra si è abbassato rispetto all’anno scorso. Sotto ogni profilo: manca qualcosa a livello tecnico, agonistico e di esperienza. Fra tutte, credo che la partenza più difficile da assorbire sia quella di Alisson”.
Problemi in campo e acque agitate in società. Anche a Londra sono arrivati gli echi delle polemiche legate all’uscita del libro di Totti. Con eleganza e con la classe che aveva sulla fascia, Mancini dribbla ogni polemica. Anche perché il caos di questi giorni riguarda persone a cui è legato a filo doppio: Franco Baldini e il capitano. “Voglio un gran bene e stimo tantissimo entrambi. Baldini è stato il primo a credere in me e gli sarò per sempre grato. Mi ha portato in Italia quando ancora nessuno qui mi conosceva. Francesco è stato un compagno splendido, uno dei più forti con cui ho giocato e un leader silenzioso nello spogliatoio. Un ragazzo timido e buono, il simbolo. Dovunque vai quando dici “Roma”, la gente dice “Totti”.
Luciano Spalletti. Un’altra frattura che Mancini ha vissuto da lontano. “Io ho imparato tantissimo dal mister. Mi fece giocare più avanzato e non dimenticherò mai le 11 vittorie della stagione 2005/2006. L’undicesima fu in casa della Lazio. Quasi bella come il gol di tacco”.
In quella striscia, il 30 della Roma alzò sei volte le braccia al cielo. A fine anno in campionato furono il doppio. In totale, comprese le coppe, addirittura il triplo.
Giocò anche centravanti nel finale di stagione, complice il drammatico infortunio di Totti contro l’Empoli.
I trofei di squadra arrivarono nel biennio successivo: due coppe Italia e una Supercoppa. Poi il trasferimento all’Inter “dove ebbi Mourinho. Il carisma in persona. Sono ancora oggi legato a lui per gli insegnamenti di quelle stagioni”. Un legame importante nato in un periodo difficile per Amantino. A Milano, su entrambe le sponde, non videro mai il giocatore lanciato da Capello “una persona che mi ha fatto capire come stare in campo” e sbocciato con Spalletti.
Oggi ha 38 anni ed è un loro collega. Stima quelli che “attaccano alti, che vogliono sempre tenere la palla nella metà campo offensiva”. Studia e segue i giovani talenti. Mercoledì ne ha visto uno che conosce da tempo esordire con la maglia giallorossa: Luca Pellegrini. “Il futuro terzino sinistro della Roma. Un ragazzo che ha superato due gravi infortuni e che mi piace tantissimo”. Un altro lo ha visto, dal vivo, al Bernabeu. “Zaniolo mi ha impressionato. Ha gamba e personalità. Se Di Francesco lo ha lanciato in un palcoscenico del genere, vuol dire che si fida già molto di lui”.
Da lunedì Mancini inizierà il Master Uefa Pro, l’ultimo passo formale prima di essere un allenatore per qualsiasi categoria. Prima però deve passare il weekend. E un derby che guarderà un po’ da tecnico, un po’ più da tifoso. “Vincerà la Roma 2-1. Segnerà Dzeko. E magari il mio amico Daniele: un altro simbolo di Roma”.
Sicuro e spavaldo, come in quel folle doppio passo a Lione. Fra qualche ora è Roma-Lazio. Pastore finora ha segnato due volte sotto la Nord. Il “tacco di Dio” è custodito nell’altra area. Sotto gli occhi di chi c’era 15 anni fa e sogna un altro boato.