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Data: 25/11/2021 -

Dai playout retrocessione al titolo di campioni: l'incredibile storia dell'Albion FC

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Dai margini del professionismo alla Serie A: l'impresa dell'Albion FC raccontata da Marco Cusumano, dirigente italiano del club
Dai margini del professionismo alla Serie A: l'impresa dell'Albion FC raccontata da Marco Cusumano, dirigente italiano del club

C’è un pizzico d’Italia dall’altra parte del mondo che festeggia una delle imprese più incredibili della storia del calcio sudamericano. La nazione è l’Uruguay, il campionato è la Seconda Divisione, la squadra è l’Albion FC. Non una semplice squadra di Serie B: si tratta del club calcistico più antico dell’Uruguay, fondato nel 1891 e parte del Club dei Pionieri, che riunisce le squadre più antiche di ogni paese, tra cui il Genoa per l’Italia. 

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La loro storia è poco nota, anche perché l’Albion ha raggiunto il professionismo per la prima volta solo nel 2018, anno in cui i rossoblù hanno disputato il loro primo campionato di Serie B. Li avevamo lasciati lì, a giugno, quando l’Albion si apprestava a iniziare la stagione dei 130 anni dalla fondazione del club con un progetto nuovo, che univa vecchi protagonisti e nuove professionalità, tra cui un dirigente italiano. Si chiama Marco Cusumano e non poteva immaginare, lui come nessuno in Uruguay, di ritrovarsi 7 mesi dopo a festeggiare il trionfo in un campionato dominato dall’inizio alla fine. “Quando abbiamo vinto ho ricevuto tanti messaggi di congratulazioni, ma quello che mi ha reso più felice è stato quello di un nostro giocatore importante che, durante i festeggiamenti post-promozione, mi ha scritto "Marco grazie per avermi portato al club"".

Innovazione e tradizione: com'è nata l'impresa

Un messaggio che dice e racchiude tutto ciò che questa impresa rappresenta. “Immaginate di passare dai playout retrocessione a essere primi indiscussi. Ora immaginate di farlo in una Serie B con squadre come Danubio, Defensor, Cerro, insomma, in proporzione contro Roma, Napoli e Lazio, retrocesse incredibilmente l’anno scorso”. Detto, fatto. 

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Nella notte italiana tra martedì e mercoledì scorso l’Albion ha festeggiato il titolo di campione del campionato cadetto con due partite di anticipo. “È stata una vera impresa: nessuno si aspettava che potessimo arrivare in Serie A con questa facilità - racconta Cusumano ai microfoni di gianlucadimarzio.com - C’erano squadre con infrastrutture, potere economico e giocatori molto più grandi di noi che avevamo appena iniziato”.

Sì, perché l’Albion, nella sua nuova versione “italo-americana”, era all’anno zero di un nuovo progetto ambizioso che ha cercato di coniugare innovazione e tradizione, che non ha voluto cambiare radicalmente ma integrarsi con la cultura del calcio uruguagio, mantenendo intatta l’autenticità e i valori del club. Un progetto, però, che ha dovuto fare i conti con una realtà tutt’altro che attrezzata per competere ad alti livelli. “Abbiamo fatto un lavoro enorme a livello di rosa. Io sono arrivato insieme alla proprietà americana e ci siamo incontrati a marzo (il campionato è iniziato a fine maggio, ndr) apposta per conoscere tutti e fare la squadra. Per circostanze della vita ho stretti contatti con il calcio uruguagio da più di 10 anni, conosco agenti e diversi giocatori che magari non erano all’altezza del calcio europeo, ma per la Serie B uruguayana erano ottimi profili”

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È iniziata così, come nel più classico dei film, la storia di un gruppo nato quasi da zero e cresciuto fino a diventare una vera squadra, capace di ribaltare ogni pronostico. “La vera forza è stata il gruppo che si è venuto a formare - racconta Cusumano - e quando si crea questa coesione e si gioca senza pressione, perché la A era niente più che un sogno, si inizia a vincerne una, poi un’altra, poi un’altra ancora…”

Il segreto del nuovo progetto? Coinvolgere i giocatori a partire dai piccoli gesti: “Io e la società siamo riusciti a dare un imprinting importante soprattutto con piccole cose che magari ai massimi livelli in Europa sarebbero insignificanti. Abbiamo fatto capire la serietà del progetto ai giocatori in trattativa con noi sin dalla prima riunione: gli incontri avvenivano in location più ricercate e professionali, ci siamo impegnati ad essere un club sempre puntuale nei pagamenti degli stipendi ai giocatori (molti dei quali erano abituati a mesi e mesi di attesa per uno stipendio mensile); abbiamo investito ad esempio nel centro di allenamento, affittando una struttura grande e completa di tutto, con campi che per la squadra erano come Wembley.  Abbiamo dato comodità a cui i giocatori non erano abituati. Gli abbiamo garantito la nostra serietà, a patto che dessero tutto in campo. Loro ci hanno creduto dal primo momento e alla fine abbiamo mantenuto entrambi la promessa”.   

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Il progetto giovani: una vera accademia di vita

Nella notte italiana si è giocata l’ultima partita del campionato, niente più di una passerella per I Pionieri. Da domani, però, inizia una nuova splendida sfida: “Adesso viene il bello ma anche il complicato, perché la Prima Divisione è molto più competitiva. Nel nostro progetto avevamo pianificato di puntare alla promozione entro 2-3 anni e invece ci siamo ritrovati in A al primo. Ora dovremo fare le cose in maniera intelligente. La struttura societaria però continua a migliorare, il CdA è formato da professionisti. La grande sfida sarà di nuovo a livello di rosa: abbiamo fatto un campionato incredibile ma bisognerà sicuramente migliorare e aggiungere pezzi importanti per rimanere in A. Dovremo scontrarci con squadre come il Nacional, il Penarol… È un altro mondo”. 

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Ma l’Albion ha le idee chiare e un progetto fondato sulle giovanili che ha la nobile ambizione di andare oltre il lato sportivo. “Qui in Uruguay c’è un detto, che recita “il talento si trova sotto le pietre”. È uno dei paesi che produce più talenti per densità di popolazione nonostante manchino tante infrastrutture. Noi vogliamo investire molto sui giovani, ma con un’idea un po’ diversa. Certo, sviluppare talenti da lanciare poi altrove, ma l’obiettivo primario è dare vita a un club che crei valore anche a livello sociale. Vogliamo arrivare a formare non solo calciatori ma persone, dare un’educazione calcistica ma anche culturale per aiutarli a gestire le sfide che affronteranno. Tanti talenti si perdono perché al grande salto in Europa non riescono a gestire la lontananza: vogliamo dargli gli strumenti culturali per farcela. Vogliamo creare una vera e propria accademia”. Ora, però, li lasciamo festeggiare. Con la speranza, chissà, di essere testimoni tra qualche mese di un’altra splendida pagina di storia firmata Albion FC.



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