Ognuno ha il "suo" Al Pacino. Del resto, per restare su paragoni sportivi, il 25 aprile di 80 anni fa a New York (da genitori italo-americani di origini siciliane) nasceva un attore che per il mondo del cinema è stato un po' come Maradona e Michael Jordan per quello dello sport. In ordine sparso, alcuni personaggi che lo hanno consacrato e reso celebre: Carlito Brigante, Michael Corleone, Tony Montana, Jimmy Hoffa, Frank Slade, Lefty Ruggiero, Frank Serpico. Ma Al Pacino ha interpretato - o meglio, "è stato", per il suo approccio ai ruoli - anche un allenatore. Di football americano: Tony D'Amato, con i suoi Miami Sharks. E una dirigenza che avrebbe voluto scaricarlo. Il film è Ogni Maledetta Domenica (Any Given Sunday) ed è del 1999, diretto da Oliver Stone. Tra mille difficoltà e tra problemi personali che si mischiano con dinamiche di squadra difficili da gestire, la squadra riesce a sorprendere tutti e ad arrivare ai playoff. Poco prima della prima partita della post-season, Tony pronuncia uno dei più celebri discorsi motivazionali del cinema a tema sportivo. Leggerlo oggi fa capire perché è molto più che un semplice discorso legato a una partita di football. Ed è un buon modo di fare gli auguri a una leggenda del cinema, da parte di chi ama lo sport:
«Non so cosa dirvi davvero. Tre minuti alla nostra più difficile sfida professionale. Tutto si decide oggi. Ora noi, o risorgiamo come squadra o cederemo un centimetro alla volta, uno schema dopo l'altro, fino alla disfatta. Siamo all'inferno adesso, signori miei. Credetemi. E possiamo rimanerci, farci prendere a schiaffi. Oppure aprirci la strada lottando verso la luce. Possiamo scalare le pareti dell'inferno un centimetro alla volta. Io però non posso farlo per voi, sono troppo vecchio. Mi guardo intorno, vedo i vostri giovani volti e penso... Certo che ho commesso tutti gli errori che un uomo di mezza età possa fare. Sì, perché io ho sperperato tutti i miei soldi, che ci crediate o no, ho cacciato via tutti quelli che mi volevano bene e da qualche anno mi dà anche fastidio la faccia che vedo nello specchio. Sapete, col tempo, con l'età, tante cose ci vengono tolte, ma questo fa parte della vita. Però tu lo impari solo quando quelle cose le cominci a perdere. E scopri che la vita è un gioco di centimetri. E così è il football. Perché in entrambi questi giochi, la vita e il football, il margine d'errore è ridottissimo. Mezzo passo fatto un po' in anticipo o in ritardo e voi non ce la fate, mezzo secondo troppo veloci o troppo lenti e mancate la presa. Ma i centimetri che ci servono sono dappertutto. Sono intorno a noi, ce ne sono in ogni break della partita, ad ogni minuto e ad ogni secondo. In questa squadra si combatte per un centimetro. In questa squadra massacriamo di fatica noi stessi e tutti quelli intorno a noi, per un centimetro. Ci difendiamo con le unghie e coi denti, per un centimetro. Perché sappiamo che quando andremo a sommare tutti quei centimetri, il totale allora farà la differenza tra la vittoria e la sconfitta! La differenza tra vivere e morire. E voglio dirvi una cosa, in ogni scontro è colui il quale è disposto a morire che guadagnerà un centimetro. E io so che se potrò avere un'esistenza appagante sarà perché sono disposto ancora a battermi e a morire per quel centimetro. La nostra vita è tutta lì e in questo consiste, è in quei dieci centimetri davanti alla faccia. Ma io non posso obbligarvi a lottare, dovete guardare il compagno che avete accanto, guardarlo negli occhi, io scommetto che ci vedrete un uomo determinato a guadagnare terreno con voi, che ci vedrete un uomo che si sacrificherà volentieri per questa squadra, consapevole del fatto che quando sarà il momento voi farete lo stesso per lui. Questo è essere una squadra, signori miei. Perciò o noi risorgiamo adesso come collettivo o saremo annientati individualmente. È il football ragazzi, è tutto qui. Allora, che cosa volete fare?»