La rubrica di Agata Centasso: il professionismo nel calcio femminile
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Data: 19/10/2021 -

Turnista e calciatrice, il nostro mondo senza professionismo

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Agata Centasso ci racconta il mondo del calcio femminile, che (ancora per poco) non è considerato professionistico
Agata Centasso ci racconta il mondo del calcio femminile, che (ancora per poco) non è considerato professionistico

Mercoledì sera ero stranamente a casa. Dico stranamente perché sono poche le sere in cui sono libera da tutto. Cosa facevo? Guardavo la partita di Champions League femminile. Juve-Chelsea. È già sbalorditivo che si possano vedere queste partite in televisione, ma c’è qualcosa che mi ha stupito di più: trovare all’Allianz tutta quella quantità di persone (erano 16.871, precisi precisi), tutti a guardare il calcio giocato dall’altra metà del cielo.  

 LEGGI ANCHE: Il mio graffio (con lo smalto) sul mondo del calcio

Bambine allo stadio? Tantissime. Chissà se anche loro un giorno sognano di giocare in uno stadio del genere davanti a così tante persone. Chissà se alla sera alla mamma avranno detto: “Voglio diventare come Barbara Bonansea, una calciatrice proprio come lei”.

 

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Ma cosa vuol dire essere una calciatrice? Nel difficile intento di dare definizioni. vi racconterò in cosa consiste generalmente la mia vita. E partiamo dal fatto che io, ancora, non posso essere chiamata professionista. In Italia, il calcio femminile professionistico mica esiste. O non ancora, anche se siamo a un momento di svolta storica per il movimento. 

Cercherò di essere schematica. I mondiali di calcio femminile di Francia 2019 hanno visto l’Italia arrivare ai quarti di finale facendo aumentare l’interesse e innamorare un paese intero. La conseguenza è stato un grande audience televisivo e una ancor più grande esplosione sui social. Un vero e proprio boom. Da allora anche le iscrizioni delle bambine alle scuole calcio hanno visto un forte incremento, così come quasi tutti i club maschili hanno fatto il loro ingresso nel campionato di serie A femminile, migliorando le condizioni economiche e le possibilità logistiche delle calciatrici, ancora però inquadrate come dilettanti: niente contributi previdenziali, tutele assicurative, contrattazioni collettive e quello che ne viene dietro. Ma qualcosa sta cambiando: dal prossimo anno, con la stagione 2022/2023, ci sarà il tanto atteso passaggio al professionismo.

 

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Ed eccomi qui forse in qualità di testimone, che vi racconto cosa vuol dire, forse ancora per poco, essere oggi una calciatrice. Qualche anno fa quando io ero nel pieno dei miei anni migliori, nelle categorie più alte, la società assicurava l’alloggio e trovava un lavoro fittizio, come quello di rilevatrice e controllo prezzi nei supermercati, da poter svolgere negli orari in cui non ci si allenava. Quello era il compenso. Ma ve lo immaginate magari se a rilevare i prezzi, tra un allenamento e l’altro, tra i reparti ci trovaste Erling Haaland? Troppo bello. 

Chi giocava in serie minori non aveva questo privilegio: conveniva trovarsi un lavoro da sé, anche perché sicuramente sarebbero stati più i soldi spesi di quelli guadagnati. Già oggi la situazione è migliorata e per chi gioca in serie C, come me, è previsto qualche piccolo rimborso spesa. Ma siamo ancora tutte lavoratrici ed è per questo che i nostri allenamenti si svolgono alla sera dalle 20 alle 22.

Quando tutti iniziano a rilassarsi sul divano dopo una giornata lavorativa, magari a gennaio quando fuori fanno meno 2 gradi, è proprio lì che la calciatrice con il suo borsone si va ad allenare. Alla faccia della passione, no? C’è poi chi come me non è così fortunata e lavora turnista, quindi la domenica è considerata giornata lavorativa a tutti gli effetti. Facciamo un esempio. Questa domenica abbiamo giocato contro la Spal. Alle 13 ho finito di lavorare a Venezia. Alle 15 ero in campo a Ferrara. Al 90’ segnavo il 3-2 che regalava la vittoria alla mia squadra... Ah no! Questo non è successo.. ma sarebbe stata una bella storia. Con l’amaro in bocca sono tornata a casa, e pure mezza zoppa. 

 

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Essere calciatrici donne poi vuol dire comunicare al mister a che giorno del ciclo sei per capire se sei sotto l’influenza di estrogeni o gestageni, con conseguente effetto anabolico o catabolico. In base a questo poi verrà deciso il tuo piano di lavoro. Vuol dire che qualche tua compagna dopo un periodo di curiosa assenza si presenta in spogliatoio comunicando che per un po’ di tempo non verrà perché è felicemente incinta. Essere calciatrici vuol dire mettere sui piedi uno smalto scuro per coprire i lividi, avere delle gambe sexy piene di botte. Vuol dire sentirsi chiedere se siamo tutte lesbiche. Essere calciatrici significa sentire o leggere i soliti commenti come “il calcio è solo per gli uomini”. Essere calciatrici vuol dire sacrificio, orari folli, stanchezza vera.

Ah le calciatrici…. Sono sicura che nonostante tutto ti risponderebbero che non c’è cosa migliore. 

Tags: Venezia



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