A Madrid da Piovaccari: "Io come Totti! Da Bonucci al Treviso al Rayo"
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Data: 27/09/2019 -

A Madrid da Piovaccari: "Io come Totti! Da Bonucci al Treviso al Rayo"

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Orologio sott'occhio: 20.41. A venti minuti dal fischio d’inizio di Atletico-Juventus, c’è più gente fuori dal Wanda Metropolitano che dentro. Chi corre, alla ricerca della ‘Puerta’ giusta dove entrare, chi fotografa e fa selfie, chi compra trafelato l’ultimo biglietto disponibile. Noi, tra lo scompiglio e l’agitazione dei più, incontriamo il ‘pifferaio’ Federico Piovaccari, attualmente al Rayo Vallecano - 'terza squadra della Capitale spagnola' - in compagnia dei due figli. “Uno tifa Juventus, l’altro adora l’Atletico Madrid! I biglietti ce li ha procurati Leonardo Bonucci, mio ex compagno di squadra al Treviso. E’ la prima volta che veniamo a vedere una partita in questo stadio”. Nell’altro di Madrid, il Bernabeu, ci sono già stati tutti e tre: papà, però, quella volta era in campo, ai tempi dell’Eibar. “Da Novara, Grosseto, Cittadella… al Bernabeu! Con Pepe che ti marca. Cosa puoi volere di più? I sogni si possono realizzare, sempre. Quella sera ho chiesto la maglietta a Varane, che poi ho regalato a mio suocero che adora il Real. Io mi sono tenuto i pantaloncini di Cristiano Ronaldo”. Un esempio di vita. “Ha un anno in meno di me e guarda che fisico! Soprattutto come gioca! Ma ha ragione Quagliarella: quando ti senti bene, perché smettere?! Io, oggi, a 35 anni, sto vivendo una seconda giovinezza e voglio continuare a divertirmi”. E vincere. 

 

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MADRID
Non ha ancora visitato la città - e di posti, Federico, ne ha visti eccome tra Romania, Cina e Australia - ma “credo di essermi già innamorato di Madrid”. Perché? Che c’è? Diccelo. “Quella cosa lì. Non so spiegarti. Il colore del cielo, l’aria, la gente. Sono stato solo al Parco del Retiro, in monopattino elettrico, e credimi è davvero spettacolare”. Ci crediamo. Anche se “la prima cosa che ho cercato sono stati ristoranti italiani!”. Il cibo, prima di tutto. Giustamente. Poi? “Devo assolutamente visitare tutti i musei, dal Prado al Reina Sofia, anche perché mio figlio Andreas ama la storia. Altra tappa fissa sarà lo spettacolo de ‘Il Re Leone’ in Gran Via al Teatro Lope de Vega. Devo ammettere che Cordoba è la mia seconda casa, perché ci ho vissuto due anni e la mia famiglia è rimasta lì anche quando sono andato a giocare a Terni oppure in Cina, ma Madrid ha tutto. Manca il Rayo Vallecano in Primera e voglio centrare l'obiettivo”. 

PACO JEMEZ 
Perché proprio il Rayo Vallecano? "Per Paco Jemez". L'allenatore. “Un po’ Carlo Muraro, che è stato il mio primo allenatore nel mondo del professionismo alla Pro Patria, un po’ Zdenek Zeman. Nei modi di fare è ruvido, rigido, diciamo severo. Si fa rispettare e rispetta chi è leale e sincero con lui e con il gruppo. Chi è un professionista. Non accetta l’utilizzo degli smartphone né a tavola né sull’autobus prima della partita. E se ti becca, son cavoli tuoi: mille euro di multa al primo richiamo, duemila al secondo, e al terzo può anche metterti fuori squadra per una settimana". I metodi di allenamento rispecchiano il carattere del personaggio: si va sempre a mille. “Ti racconto com’è andata in ritiro quest’estate?”. Mi siedo. Meglio. “Il programma era il seguente: sveglia alle sette meno dieci, uno yogurt e poi subito un allenamento di sola corsa. Colazione alle nove e mezza, palestra, pranzo e sessione di allenamento anche nel pomeriggio. Tre allenamenti al giorno in dieci giorni totali, di cui sei tripli. Ti giuro, tra tremila, duemila e mille metri di corsa, mi sono allenato più con lui a 35 anni che all’inizio quando ero giovanissimo. Mi sento un po’ come Totti! Mi stanno allungando la carriera!”. Lo stile di gioco di Paco è ultra offensivo, tipicamente spagnolo. “La squadra si diverte praticando il suo calcio, 4-3-3 fatto di verticalizzazione e possesso”. ‘Pio’ - "così mi chiama l’allenatore" - ci racconta un altro aneddoto. “L’altro giorno, riguardando una partita, ci ha detto che il 65% di possesso palla era troppo poco, lui vuole minimo il 70 sempre”. 

 

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TEST SPAGNOLO 
Piatto preferito: “Paella o rabo de toro”. Corrida sì o no? “Ni. Non mi piace vedere soffrire un toro ma un giorno, se capita, ci vado. E’ tipica”. Gaudi, Mirò o Dalì. “Ho una moglie catalana ma dico il terzo!”. Va così. Meglio il caffè spagnolo o quello italiano? “Il ‘cafè con leche’ non lo posso bere, piuttosto me lo preparo io in casa. Ma è la pasta che mi manda su tutte le furie. Non è difficile prepararla! Un po’ di acqua, un po’ di sale. In Spagna non ce la fanno proprio, viene sempre male”. Ultima domanda, complicata. Quanti dialetti spagnoli conosci oltre al castigliano? “Tanti!”. Vogliamo maggiori dettagli. “Il basco è difficilissimo, quasi impossibile. Nessuna parola può ricordarti un’altra lingua. Forse, lontanamente il rumeno, che io ho imparato nell’anno in cui ho indossato la maglia della Steaua. Quando giocavo all'Eibar, mio figlio, che viveva lì con me, studiava tre materie in basco. La prima parola che ho imparato: ‘eunon’, ossia ‘buongiorno’. L’andaluso è il dialetto del Sud, dove si mangiano la fine di tanti vocaboli. In Catalogna si parla il catalano che non è affatto facile, non sembra spagnolo, e c’è da dire che da quelle parti non ti aiutano molto, vanno avanti per la loro strada. Devi imparare, sì o sì”. Manca il gallego ma la prova è stata ampiamente superata. “Se vuoi posso raccontarti del cinese che si parla a Shaoxing, città di casa dello Zhejiang Yiteng dove ho giocato per quattro mesi e mezzo”. Ci siamo. “Lì nessuno parla inglese! Io mi sono affidato alla APP che traduce (anche i cartelli stradali con foto allegata) istantaneamente il cinese. Io parlavo in italiano, la applicazione traduceva, loro capivano. Uno dei momenti più complicati è stato prendere un taxi per andare all’hotel NH. Il tassista non riusciva a comprendere quale fosse la mia destinazione finale, serviva un biglietto da visita del posto oppure la tessera della camera. Incredibile. Ma alla fine una soluzione la trovi, devi vivere”. 

DISCOVERY TALENT
“Ho giocato con tanti grandi giocatori!”. Nomi e cognomi, grazie. “Bonucci può bastare? E’ stato uno dei pochi compagni di squadra che, a Treviso, è venuto a trovarmi in ospedale quando è nato mio figlio Andreas. Poi allenamenti, passeggiate, spritz”. Ma c’è altra carne al fuoco. “Mi sono allenato con il primissimo Icardi, alla Sampdoria. Lui era in Primavera ma si aggregava spesso con noi. Un talento. Samir Handanovic al Treviso era qualcosa di mostruoso. Per non parlare di Adriano Leite all’Inter. A 18 anni sono passato dalla serie D, dove giocavo in mezzo alla terra, alla perfezione della Pinetina. A gennaio arriva questo brasiliano che in un’amichevole tra Primavera e prima squadra, prende palla di spalle, si gira e spara un missile in rete. Un fulmine a ciel sereno che mi ha lasciato senza parole”. Chi non sembrava potesse arrivare? “Bruno Fernandes! A Novara era un ragazzino, magro e timido. Se mi avessero detto che sarebbe stato accostato a Real Madrid o Manchester United non ci avrei mai creduto. MAI. I sogni si avverano ma non per caso: bisogna lavorare, prepararsi, essere costanti in quello che si fa”. Talent scout Piovaccari, magari in un futuro. “Preferirei allenare i bambini! Chissà, vediamo. Sono un giocherellone come loro”. 

PIOVA SUB
“Mi piace il mare ma stare sott’acqua ancora di più. Il Sub. Sono sette anni che lo pratico a tutti gli effetti ma è sempre stata una mia passione, quasi morbosa. E’ una sensazione indescrivibile: ti dà adrenalina, ti pace. Qualsiasi rumore che senti è moltiplicato per cento. Ho avuto la fortuna di vedere con i miei occhi i mari più belli del mondo, dalla Polinesia alle Fiji fino all’Australia. Tartarughe, squali, pesci pagliaccio. Toglietemi tutto ma non il mare. E il pallone, ovvio”. 

 

Tags: Liga



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