“Io sono crotonese”. Dalla serie A alla serie D, Modesto fa sognare anche Rende
Tutto in sei mesi. Dalla A riconquistata con il Crotone, il sogno di una vita, alla D con il Rende. Eppure Modesto spinge su quella fascia con la stessa passione di sempre. Più di duecento presenze in serie A, con 7 gol e 14 assist, mai una doppietta. Francesco, ti sei trasformato in bomber? “(Ride) Ci ho messo un po’ di tempo eh? Non segnavo una doppietta dai tempi delle giovanili del Cosenza, figurati un po’! Bellissimo, a prescindere dalla categoria. Poi li ho fatti sotto gli occhi di mia moglie Francesca e di miei figli Simone, Manuele, Valentino e di Michelangelo, che nascerà tra poco. Quindi gioia moltiplicata per cinque!”.
Dalla A alla D in sei mesi, come mai ti sei ritrovato a ripartire dai dilettanti? “Bella domanda. L’anno scorso ho partecipato al sogno di Crotone, raggiungere la serie A, un obiettivo inimmaginabile per chiunque. A un certo punto del campionato le società chiedono ai giocatori in scadenza la disponibilità a rimanere e con me non si è fatto avanti nessuno e sono rimasto a piedi. C’è stata la possibilità di andare a Cosenza, ma poi la trattativa si è arenata. Penso che nel calcio attuale, con tutte le regole in vigore, per un giocatore non più giovane è quasi impossibile trovare squadra. Però è andata bene, dai. Con il Rende mi trovo benissimo, siamo terzi e molto ambiziosi: il nostro obiettivo è andare in Lega Pro. Magari tra sei mesi sono di nuovo tra i professionisti. Siamo una società in forte crescita, con un bellissimo centro sportivo. Poi ci sono tanti bei giovani da valorizzare”.
Sei tornato a Cosenza, dove tutto è iniziato… Sei romantico? “In realtà ho iniziato un po’ prima delle giovanili del Cosenza (ride di nuovo). Ho cominciato subito, da piccolissimo. Un pallone era il più bel giocattolo all’epoca. C’erano le primissime consolle e i primi pc, ma non tutti potevano permetterseli e non c’erano i cellulari e tutti gli intrattenimenti di cui godono i ragazzi di oggi. Giocare a pallone con gli amici era gioia e divertimento: stavamo in campo dalla mattina alla sera. Iniziai a 5 anni, in una squadra locale. A 12 anni entrai nel settore giovanile del Cosenza, che adesso è diventata la mia città adottiva e da lì ho fatto la trafila fino alla prima squadra. Esordio in B a 18 anni, indimenticabile”.
Detto così sembra tutto facile, ma? “Ma non lo è stato. Ero un ragazzino di 12 anni che ha dovuto lasciare casa, i genitori, gli amici e trasferirsi in un’altra città. Ma non mi sono mai lamentato, come delle rinunce. Sono diventato un calciatore professionista, i sacrifici hanno pagato. Ma allo stesso tempo vorrei far capire a chi dice che noi calciatori siamo dei fortunati e dei predestinati che non è tutto semplice come appare. Noi siamo quelli che hanno soldi, belle macchine e belle donne, ma alla base ci sono duro lavoro e sacrifici e chi arriva indubbiamente deve avere un pizzico di fortuna, ma deve cercarsela”.
So che conservi due maglie di Maldini… “Già, ma una non è originale! La mia squadra del cuore è sempre stata il Milan. Ero innamorato, calcisticamente, di Paolo Maldini, il mio idolo assoluto, modello sia in campo che fuori. Ho avuto la fortuna di giocarci contro e di conoscerlo ed è stata una delle gioie più grandi della mia vita. Per me è il terzino più forte, se non della storia, degli ultimi 30 anni. Proprio la stagione che annunciò il suo ritiro trovai il coraggio di chiedere la sua maglia. La tengo gelosamente custodita a casa, non la faccio vedere a nessuno: è solo per me”.
Che mi racconti della “Reggina dei miracoli” di Mazzarri? “L’impresa di Reggio è stata incredibile, ma devo dire che in ogni squadra in cui ho giocato abbiamo sempre centrato obiettivi importanti. Prima della Reggina venivo da un’esperienza ad Ascoli in cui festeggiammo una promozione insperata ad inizio stagione. A Reggio apoteosi, penso che salvarsi in serie A con un meno undici, soprattutto tenendo in considerazione il livello delle squadre di quel periodo, sia qualcosa di irripetibile. Siamo stati bravi a seguire alla lettera quello che ci chiedeva Mazzarri. Quella fu la stagione dove forse feci più assist e gol, 3. Amoruso e Bianchi segnarono 17 e 18 reti, ci resero tutto più facile. Con Mazzarri si creò un rapporto speciale, ma dopo Reggio non ci siamo più sentiti: nel calcio spesso succede di perdere i contatti”.
Qual è l’occasione mancata della tua carriera? “Arrivò dopo il primo anno a Reggio. Mi voleva la Roma ma il presidente Foti fece altre scelte e quello è sicuramente un treno perso. Poi, anche se non mi piace mai pensare al passato, dopo il secondo anno nella Reggina potevo andare a Napoli . Il presidente voleva vendermi agli azzurri e io rifiutai: quello è stato un errore mio”. E l’occasione colta? “Il Crotone l’anno scorso, portarlo in A è un sogno che avevo fin da piccolo. Il Crotone all’epoca giocava in Promozione e non aveva neanche settore giovanile: eppure io ero presente a tutte le partite. Sono tornato anche per stare vicino a mio padre che non stava molto bene. Purtroppo la mia carriera mi ha allontanato dalla mia famiglia e ho sentito quasi la necessità di riavvicinarmi a loro e dargli la gioia di vedermi indossare la maglia del Crotone. Mi dispiace solo che papà non ha potuto vivere l’emozione dell’anno scorso perché è morto l’anno prima”.
Che mi dici della scritta “Io sono crotonese”? “Come fai a saperlo? E’ un murales che ho fatto fare vicino al campetto dove sono cresciuto. Quel muro mi metteva sempre tristezza, c’erano frasi poco belle da leggere e dava un senso di abbandono. Così mi è venuta l’idea di chiamare dei miei amici writer per dipingere un bel murales. Tutto questo prima del gol di Como, quindi il progetto è cascato a pennello, è proprio il caso di dirlo. Dopo due settimane è arrivato il gol e abbiamo messo il nome di tutti i protagonisti di quella stupenda cavalcata. Ma il ‘dipinto’ più bello in assoluto è il tatuaggio che ho nel braccio sinistro. Ci sono i nomi dei miei figli, un simbolo che rappresenta la mia famiglia, ciò a cui tengo di più”.
Dal 2017 cosa ti aspetti? “Felicità e salute per la mia famiglia, sicuramente. Poi non so, non guardo mai troppo oltre. Vedremo quale sarà il mio futuro”.