“Iniziai ad allenare a 15 anni”. Olbia, il “mago” Mereu a caccia di una nuova impresa
Arzachena-Olbia, appuntamento con la storia per le due società sarde. Sarà sfida nella sfida, perché il primo derby gallurese in un campionato professionistico e anche il confronto tra due amici che nel calcio sardo sono ormai due istituzioni: Bernardo Mereu e Mauro Giorico. Storie diverse, ma entrambe vincenti, che parlano di autentici miracoli sportivi. Il terzo posto dell’Olbia nel girone A della serie C è solo l’ultima delle imprese di Mereu, che in Sardegna è il re delle promozioni, ben otto in carriera: dalle parti del Nespoli sognare è lecito…
“Per me è stato importante ripartire dalle ultime giornate dell’anno scorso” – racconta l’allenatore dei bianchi ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – “La conferma da parte dell’Olbia è legata proprio a quanto in quelle cinque settimane la squadra è riuscita a fare: 10 punti in 4 gare. Ricominciare con il mio staff e con gran parte dei ragazzi ci ha permesso di creare la giusta empatia. Non ci sono stati tanti acquisti, la squadra è fondamentalmente quella dell’anno scorso con l‘inserimento di un portiere di grande valore come Aresti. Abbiamo aggiunto alcuni giovani del settore giovanile del Cagliari ai vari Pisano, Dametto, Ragatzu, che rappresentano l’ossatura della squadra”.
Stare nelle prime posizioni dall’inizio del campionato è una piacevole sorpresa: “La società ha chiesto la salvezza. Dobbiamo pensare alle singole partite, capitalizzare e dare un senso al lavoro fatto durante la settimana. I ragazzi devono guardare ad ogni gara come se fosse quella decisiva e non pensare ad altro: se io gli ponessi degli obiettivi rischierei di condizionarli. Questi ragazzi devono scoprire la propria forza domenica dopo domenica, solo il tempo ci potrà dire dove potremo arrivare: non dobbiamo esaltarci troppo per le vittorie, né abbatterci troppo dopo le sconfitte“.
Tiene i piedi per terra l’allenatore algherese, anche se non sarebbe la prima impresa in carriera. A soli 25 anni Mereu portò la piccola squadra di un quartiere cagliaritano, La Palma, dalla seconda categoria alla C2: “E anche in quel caso si trattava di una scuola molto giovane, quindi sì, ci sono analogie. Però sono passati tanti anni e il calcio è cambiato, sia nella mentalità dei giocatori, sia nello sviluppo tecnico-tattico. Partimmo dalla seconda categoria e, come detto prima, scoprimmo gara dopo gara quale era il nostro reale valore: erano tutti giocatori sconosciuti ma spinti da una grande fame di arrivare”.
Carriera da enfant prodige della panchina, Mereu a 15 anni già allenava: “Giocavo in Prima Categoria e contemporaneamente allenavo i ragazzi. A 21 anni capii che non potevo continuare, che dovevo fare una scelta: prevalse la mia grande passione per la panchina. Fin da piccolo mi affascinava l’idea di avere una squadra che riproducesse in campo il mio concetto di calcio. Difficoltà? Tante. Se vuoi allenare in Sardegna non devi farti condizionare dalla categoria: un anno puoi allenare in serie C e l’anno dopo ricominciare dalla Promozione. Umiltà e passione, questa è stata un po’ la mia carriera. In Sardegna è l’amore per questo sport che ci porta a continuare. Quest’anno siedo sulla panchina dell’Olbia, in C1, ma se non dovessi essere confermato, non mi potrei permettere di rifiutare una categoria inferiore, altrimenti rischierei di non allenare più in Sardegna”.
Quarant’anni di carriera, l’episodio più curioso? “Quello che mi fa ancora ridere mi capitò a 19 anni, in Seconda Categoria. Mi affidarono una squadra alla fine del girone d’andata. Non aveva nessun punto e all’epoca se ne assegnavano 2 a partita: facemmo 23 punti nel girone di ritorno. Nella gara decisiva arrivarono i dirigenti della Lega “chi non è nell’elenco vada fuori dallo spogliatoio”. Gli spiegai che ero l’allenatore, ma loro non volevano saperne. “Vuoi prenderci in giro? Non sei neanche maggiorenne per me” quasi mi mettevano le mani addosso! Per fortuna arrivarono i dirigenti della mia società e spiegarono le cose… e alla fine vincemmo per tre a uno: era la partita decisiva“.
Nonostante promozioni e tanti attestati di stima mai fuori dalla Sardegna, come mai? “Ho avuto diverse opportunità, anche a buon livello: ma se fosse andata male? Non avevo un passato da calciatore affermato e i miei genitori mi hanno insegnato a lavorare per potermi guadagnare da vivere. Avevo famiglia, non potevo pensare di lasciare tutto per rischiare una carriera fuori dalla Sardegna. Dovevo continuare a coltivare la mia passione facendola coincidere con gli impegni e gli oneri di padre e marito. Facevo l’informatore medico, mi sono sempre alzato presto la mattina e coricato tardi la sera per potermi ritagliare il tempo per schemi e allenamenti. Per me la famiglia è il valore più importante della vita, il calcio viene dopo. Adesso, dopo tanti anni, sono titolare di un’azienda che realizza impianti sportivi e finalmente posso dedicarmi all’attività da professionista al 100%”.
Il più grande talento allenato? E’ arrivato fino alla Nazionale: “Antonio Langella, che allenai giovanissimo a Castelsardo e che, nonostante le grandi difficoltà iniziali, è arrivato al gradino più alto. Adesso alleno Daniele Ragatzu, che dimostrò già il suo valore in seria A e che con il grande campionato che sta facendo spero possa raggiungere nuovamente categorie che gli competono. Tra i giovani sicuramente c’è Roberto Biancu, che reputo un predestinato: ha una grande carriera davanti“. Il collega più stimato? “Come concetti di gioco, tempo dedicato al lavoro e risultati Maurizio Sarri e Marco Giampaolo. Il primo ad affascinarmi fu Luigi Radice: a Cagliari andavo a vedere tutti i suoi allenamenti. L’anno dopo andò a Torino e vinse lo scudetto“.
“Orgoglio sardo”, tante volte si sente questa frase, cosa significa per Bernardo Mereu? “E‘ un’eredità della nostra terra che ci ha abituato a contare sempre e solo su noi stessi. Ma è anche la capacità di avere una faccia sola, pulita. Di saper parlare con la testa e il cuore in un mondo dove troppo spesso si parla per convenienza. La capacità di mantenere un comportamento coerente, anche a costo di pagarne le conseguenze. La capacità di esprimere ciò che pensiamo senza pensare troppo alla convenienza della nostra genuinità“. Il sogno è allenare il Cagliari? “Io sono un tifoso dei rossoblù e spero che possano crescere e raggiungere obiettivi prestigiosi. Il mio obiettivo è sempre vincere la partita che mi aspetta la domenica, senza guardare troppo in là. Adesso alleno l’Olbia e sono felicissimo. Poi vedremo cosa mi riserverà il futuro…”.
E il futuro immediato dice derby: “Mauro Giorico è un amico, ci siamo affrontati tante volte in passato. Il rapporto è sempre stato sincero e leale e l’augurio e che continui così sempre: che vinca il migliore”. Il mago delle promozioni è a caccia di una nuova impresa, a Olbia non è vietato sognare.