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Infanzia, ritiro e depressione. A tutto Buffon: “Ambire alla Champions mi spinge a continuare”

Trentanove anni e non sentirli. Gianluigi Buffon è ancora uno dei migliori al mondo nel suo ruolo, nonostante non sia più un ragazzino. Il portiere bianconero, in un’intervista a cuore aperto, rilasciata al bisettimanale tedesco ‘Kicker’, ripercorre alcune tappe della sua carriera e della sua vita: “Un portiere deve essere masochista , come ruolo può essere paragonato all’arbitro. Ha il potere di comandare ma può solo subire gol, non può segnare, e deve sopportare offese continue. La psicologia dovrebbe studiare questo ruolo così contraddittorio. Per me fare una papera è uno shock. Ci metto giorni a riprendermi. Invidio chi ne commette di più…lo shock non è così grande“.

Le dirigenze italiane stanno svanendo: “La Roma agli americani, le milanesi ai cinesi…povera Italia. È una sconfitta per il nostro calcio e le nostre tradizioni”. E dall’attualità, si passa a parlare di infanzia: “Mangiavo così tanta mortadella e orsetti gommosi che è un miracolo non sia ingrassato. La mia carriera sarebbe diventata improbabile”. Anche un campione come Buffon ha passato periodi brutti, su tutti quello della depressione: “Fu fondamentale non prendere medicine. Rimasi artefice del mio destino, senza dipendere dai farmaci“.

Manca solo la Champions ad una bacheca piena di trofei: “Da anni mi chiedo cosa mi spinga ancora a giocare – conclude – Questa battaglia interiore mi porta forti motivazioni. Se avessi vinto la Champions sarei svuotato: mi sprona“.