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Il calcio tra sacro e profano. Da Trapattoni e Rummenigge a Ferrero e Inzaghi: tutti i gesti scaramantici

Segno della croce, entrare in campo con lo stesso piede, stesso posto nello spogliatoio, persino stessi indumenti intimi e la classica strizzata agli attributi. Non bastano duri allenamenti, spirito di sacrificio, professionalità, talento, capacità manageriali, intuito…A questa ricetta, manca un ingrediente fondamentale. Il denaro penserebbero i più. No, o almeno in certi casi non basta manco quello. Chiedete al presidente della Sampdoria, Ferrero:la scaramanzia, ecco cosa conta veramente. Per lui il tradizionale gesto delle “corna” non è più sufficiente. Ferrero si è specializzato nel gesto delle “doppie corna”. Il produttore romano è solo uno degli ultimi iscritti a questa scuola di pensiero. Uno dei decani è l’ex presidente del Pisa Romeo Anconetani: diventò celebre la sua consuetudine di far cospargere campo e panchina dell‘Arena Garibaldi con diversi chili di sale, fino a 25 kg si narra. Un posto nel podio merita anche l’ex presidente del Cagliari Massimo Cellino: la lacrima gettata contro gli avversari dei rossoblù, veniva puntualmente immortalata dalle telecamere. Per non parlare del numero 17, una vera fobia: divieto assoluto a qualsiasi calciatore di indossare quella maglia e allo stadio il posto numero 17 lasciava spazio al 16-bis. Arrivò persino a far vestire di viola i tifosi in occasione di una partita giocata di venerdì 17. Aurelio De Laurentis non sembra essergli da meno: il numero 13 è quello da evitare assolutamente, così come il colore viola, mentre il giallo per lui è il colore porta fortuna. Stesso pensiero dell’amministratore del Milan Adriano Galliani e di Aldo Spinelli: immancabili la cravatta gialla per il primo e l’impermeabile dello stesso colore per il secondo.

Dalle scrivanie passiamo alle panchine. Nils Liedholm si affidava a corni e polveri magiche e al mago-astrologo Mario Maggi:a ogni vigilia di una gara importante, per Milan e Roma non poteva mancare un “pellegrinaggio” a Busto Arsizio. Walter Mazzarri entra sempre per ultimo in campo: salutare prima dell’inizio del match l’allenatore avversario porta iella. Gli portava bene invece togliersi la giacca e rimanere in camicia: il Napoli segnava sempre. Chi si è scordato dell’acqua santa di Trapattoni? Peccato che in quel Korea del Sud-Italia ci si mise di mezzo anche Byron MorenoRenzo Ulivieri invece aveva l’abitudine di indossare sempre il cappotto preferito, anche in piena estate. Marcello Lippi era solito fare un gol a porta vuota prima delle partite. Ancelotti si affida a un rosario-anello(anulare sinistro), come Maradona. A proposito del “pibe de oro”, dopo la prima partita vinta ai Mondiali del 2010, cominciò a ripetere questo rituale: salutava i tifosi da bordocampo con tutta la squadra, poi foto con un membro dello staff tecnico, telefonata alle figlie Dalma e Giannina e rientro negli spogliatoi, dove lo aspettava una copia del giornale di 24 anni prima che celebrava la vittoria del secondo mondiale dell’Argentina. Sir Alex Ferguson, nel 1996, nell’intervallo di una gara con il Southampton, ordinò ai suoi di levarsi la divisa grigia con ibordini rossi: tre partite senza vittorie erano tutta colpa di quella maglia.Pippo Inzaghi è da poco allenatore, ma anche lui aveva i suoi rituali da calciatore: Pirlo narra di tre o quattro visite al bagno prima dei match e dei biscotti “Plasmon”. Due dovevano però rigorosamente rimanere nel fondo della scatola e nessuno doveva toccarli, altrimenti Pippo non segnava…

Capitolo calciatori: se l’Italia è diventata campione del mondo nel 1982 lo dobbiamo anche al santino nei parastinchi di Marco Tardelli e ai baffi di Gentile. Stessa cosa devono fare i francesi: se i “Bleus” hanno vinto i Mondiali del 1998 e l’Europeo del 2000, non lo devono solo a Trezeguet e Zidane, ma anche al celebre bacio alla pelata di Barthez da parte di Laurent Blanc.Daniele De Rossi, dopo una grande gara giocata con una manica strappata, a causa di un avversario troppo”affettuoso”, decise di adottare il look con una manica lunga e una corta, per tenere alto il suo rendimento. Zambrotta in ogni partita, doveva sempre infilare prima la scarpa sinistra e poi quella destra. Adrian Mutu si è ritirato da poco, ma se ha segnato tanto nella sua carriera lo deve anche al fatto che prima della partita indossava sempre le mutande al contrario. John Terry è diventato una leggenda dei “Blues”, occupando sempre lo stesso posto nel pullman e ascoltando lo stesso cd prima di ogni gara. Sergio Manente, giocatore della Juve anni 50, aveva un rito tutto particolare: se la squadra vinceva largamente, negli ultimi minuti di gioco, per scaramanzia, scaraventava una palla nella sua rete. Pelè organizzò una caccia alla maglietta: la regalò a un tifoso, salvo poi farsela restituire dopo una partita disastrosa. Il talento era tutto in quella maglia…Johan Cruyff sputava sempre una gomma da masticare nella metà campo avversaria, mentre il portierone argentino Sergio Goycochea era un grande para-rigori, perché, poco prima dei tiri dagli undici metri,svuotava sempre la vescica in campo.Karl Heinz Rummenigge sul pullman doveva sedere nel sedile vicino al finestrino della quarta fila di sinistra e prima della gara mangiava tre biscotti, beveva mezza tazza di tè e s’infilava per prima la scarpa sinistra. Come avrebbe fatto se no a diventare un fuoriclasse?

Che dire poi di Bruno Pesaola, “Petisso”, che prima di ogni partita faceva ascoltare ai suoi giocatori un disco di Peppino Gagliardi: un giorno si dimenticò il disco a casa e fece 500 km in macchina per andare a recuperare il 45 giri. Gary Lineker, ex stella della nazionale inglese, non doveva mai segnare durante il riscaldamento. Il primato assoluto però lo detiene l’ex portiere scozzese Alan Rough. Prima di ogni partita doveva: portare un anello portachiavi a forma di cardo, non radersi, portare una vecchia pallina da tennis in campo, indossare la maglia numero 11 sotto la numero 1, indossare una piccola maglia a forma di stella, tenere una scarpetta da calcio in miniatura in tasca, usare l’appendiabiti numero 13, far rimbalzare tre volte il pallone prima dell’ingresso in campo, soffiarsi più volte il naso nel corso della partita, segnare un gol a porta vuota. Ma questi gesti portano veramente fortuna? Forse la prova ci viene data da Gigi Riva: indossò sempre la maglia numero 11 fino al 1967. L’unica volta che accettò di indossare la 9 si ruppe una gamba. Peccato che la stessa cosa accadde nel 1970, a Vienna, quando indossava al maglia numero 11…