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I gol nei derby e la lotta al razzismo: la storia di Everton Luiz, un mediano di fatica per la Spal

Al 1° maggio dello scorso anno, secondo uno studio del CIES Football Observatory, c’erano 1202 calciatori brasiliani impegnati nei vari campionati esteri. Campioni come Neymar o Coutinho, ma anche centinaia di anonimi mediani, spesso quasi sconosciuti in patria.

Everton Luiz, appena acquistato dalla Spal per raggiungere la salvezza, rientra, o almeno rientrava fino a un paio d’anni fa, in questa galassia. Centrocampista di contenimento, alto 173 centimetri per una settantina di chili, è uno che ama la concretezza: non è un caso che le compilation di skills su YouTube lo ritraggano soprattutto mentre corre senza sosta e si lancia allegro tra le caviglie degli avversari.

Non è un caso, nemmeno, che lo abbiano soprannominato “cane da guardia” e “polmone d’acciaio” a Maceió, nell’angolo di Brasile dove non solo è conosciuto, ma adorato. Nato a Porto Alegre, pur avendo firmato per il Palmeiras nel 2009 Everton Luiz non ha mai debuttato nella massima serie brasiliana e, tra un prestito e l’altro, ha dovuto aspettare il 2012 per trovare un po’ di gloria con la maglia del Club de Regatas Brasil. Trascinatore della squadra che, a dieci anni dall’ultimo titolo del Galo, conquistò il Campeonato Alagoano nell’anno del centenario del club, nel 2013 entrò per sempre nel cuore di ogni alvirrubro: il CRB raggiunse infatti nuovamente la finale, dove affrontò i rivali cittadini del Centro Sportivo Alagoano, intenzionati a celebrare il loro centenario con una vittoria, ed Everton Luiz, dopo aver segnato nella gara di andata uno dei suoi rari gol, decise di infierire sui tifosi avversari rivolgendosi verso di loro e mimando un pianto. Un’immagine che, dopo la vittoria nella partita di ritorno, non ha mai smesso di circolare, utilizzata anche dalla pagina ufficiale del CRB per fare gli auguri ai cugini.

Il Clássico das Multidões di Maceió non è, peraltro, l’unico derby in cui il brasiliano abbia lasciato il segno: uno suo tiro dai trenta metri al minuto 94 valse il pareggio in uno Stella Rossa-Partizan dell’aprile 2016. Il fatto che la palla fosse passata tra le mani di un colpevolissimo portiere non tolse al centrocampista la voglia di correre verso i tifosi avversari, indicare lo stemma sul petto, ballare e prendersi un’espulsione per doppia ammonizione.

I cartellini, ben più dei gol, costituiscono d’altra parte il vero marchio di fabbrica di Everton Luiz in ogni sua avventura, dai sei mesi in Messico con il San Luis agli anni svizzeri, prima con il Lugano e quindi con il San Gallo, che lo fecero uscire dall’anonimato e gli permisero di approdare al Partizan, dove venne molto apprezzato, ovviamente, per il suo grande cuore, e dove l’affetto nei suoi confronti aumentò ancora di più dopo il brutto episodio di cui fu, suo malgrado, protagonista nel febbraio del 2017, oggetto per novanta minuti di ululati e offese razziste da parte della tifoseria del Rad, alla quale rispose a fine partita mostrando il dito medio, seguito da una rissa e da altre dichiarazioni razziste da parte della vicepresidente del club.

di Marco Maioli – Tre3Uno3