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Grazie di tutto Claudio: il Leicester, la tua impresa e il nostro sogno che non avrà mai fine

C’mon, it’s a joke“. No, purtroppo non è uno scherzo. Come in un soffio di vento, è realtà. Inesorabile, crudele. Come una pagina strappata con rabbia da un libro bellissimo. Questo gelido inferno chiamato football ha presentato ancora una volta il conto. Incurante del passato, della storia, di un tempo che troppo spesso travolge ogni cosa. D’un colpo, una delle più belle imprese della storia del calcio sembra persa nelle ombre di un ricordo sfocato, vago. Ma un comunicato o un formale annuncio non possono cancellare la Leggenda.

Perché (sir) Claudio Ranieri è andato ben oltre il tempo, il destino. Aveva preso in mano il Leicester City nel luglio del 2015 con la semplicità di chi, nonostante l’etichetta di “finito”, “bollito” e “pensionato”, con la voglia di andare incontro a un’avventura. Complicata, sì, ma stimolante. Si era rimesso di nuovo in gioco dopo l’esperienza deludente sulla panchina della Grecia, e di riabbracciare la patria del football, che tanto aveva amato ma che tanto aveva ancora da regalargli. I quattro anni al Chelsea gli avevano dato la possibilità entrare nel cuore di un calcio romantico, unico. Proprio come lui. Signorile, delicato, determinato. E con lo stesso spirito di sempre. Prossima fermata? Leicester.

Nigel Pearson, amatissimo da quelle parti, aveva chiuso il campionato 2014-15 con 41 punti, al quattordicesimo posto. Grande rimonta nel finale di stagione, salvezza agguantata. Ma ecco il cambio, lo switch: dentro Claudio da San Saba, Testaccio. Romano, viaggiatore, amante dell’ignoto. La squadra ha buoni giocatori, certo, ma le grandi come Manchester City, United, Tottenham, Arsenal, Liverpool e il “suo” Chelsea sono di un altro livello. Schmeichel, Simpson, Morgan, Huth, Fuchs, Mahrez, Drinkwater, Kanté, Albrighton, Okazaki, Vardy. Con loro, sir Claudio è diventato immortale. King.

Le Foxes partono per rimanere in Premier League. Arriva la prima vittoria con il Sunderland, l’8 agosto 2015. Poi, quella di Upton Park contro il West Ham. L’1-1 con il Tottenham e quello con il Bournemouth. Vittoria con l’Aston Villa e pareggio con lo Stoke City. Il 2-5 contro l’Arsenal al King Power Stadium sembra solo un normale epilogo di un ottimo inizio di campionato. E invece no. Dieci risultati utili consecutivi. Qualcuno, a Leicester, inizia a sussurrare: “ma se provassimo a lottare per qualcosa in più?”. Di titolo, però, ancora non si parla. Sarebbe da folli. A inizio anno, però, qualcuno ci aveva davvero scommesso: la vittoria del Leicester in campionato era quotata 5000-1. The best is yet to come.

La cavalcata delle Foxes inizia a varcare i confini dell’Inghilterra, in Europa tutti sono incuriositi, vogliono saperne di più di questi ragazzi che a metà stagione sono lì, davanti a tutti. Intrusi fra i giganti, con la spensieratezza di un sogno inatteso. Claudio Ranieri ha iniziato a capire che quella particolare magia poteva trasformarsi in qualcosa di concreto, di irripetibile. L’ha avvertita negli occhi di Vardy, uno che all’inizio della sua carriera per mantenersi mentre giocava sui campi di periferia lavorava come metalmeccanico nelle fabbriche di Sheffield, capace di battere il record di van Nistelrooy di gol consecutivi in Premier (10) e che alla fine segnerà 24 gol in 35 partite; di Kanté, che correva per dimenticare la povertà e i sacrifici; di Schmeichel, cresciuto all’ombra del mito del padre e voglioso di costruirsi un angolo di paradiso tutto suo; di Mahrez, con la poesia nei piedi, gracile e spaventato. Ma, soprattutto, l’ha avvertita per le strade di una città intera. Una città senza più paura.

Via, via, via. Correte, ragazzi, correte. Anche noi, qui in Italia, non abbiamo più smesso di tifare Leicester. Perché Claudio Ranieri ha saputo varcare confini, aprire un sentiero anche là dove la strada sembrava troppo impervia. E, soprattutto, è diventato il simbolo dell'(ir)realizzabile. Diventato realtà il 30 aprile 2016, il giorno di Chelsea-Tottenham 2-2, il giorno in cui ci siamo commossi e siamo diventati tutti un po’ inglesi. Un orgoglio tutto italiano, sir Claudio. Capace di vincere il primo titolo in 132 anni di storia del Leicester City, di ripetere un’impresa paragonabile solo a quella di Brian Clough negli anni ’70 alla guida del Nottingham Forest. Capace di riscrivere gerarchie, pensieri, approcci, previsioni. Di mettere a tacere chi lo dava per finito, e che poi ha esultato per la sua vittoria. Di sorridere delicatamente guardarsi indietro, senza rimpianti, a testa alta e petto gonfio.

Il Leicester ha deciso di voltare pagina. Come se tutto questo possa svanire di colpo. Certo, la favola della passata stagione ha lasciato ben presto posto, quest’anno, a una realtà ben diversa. La zona retrocessione a un punto, la squadra fuori dall’FA Cup e dalla coppa di Lega. La Champions League, l’unico vero obiettivo rimasto. Gli ottavi di finale a Siviglia sono stati fatali a Ranieri, che non ha avuto nemmeno la possibilità di terminare il suo ciclo. Poteva andarsene da eroe, da divinità: una statua pronta fuori il King Power Stadium e una città ai suoi piedi. Ha scelto di restare con i suoi ragazzi, per portare avanti il sogno, nonostante l’addio di Kanté, una magia ormai spezzata. Non è bastato. Se ne va con il 49,8% di vittorie in Premier League (frutto di 104 successi in 209 partite, con 55 pareggi e 50 sconfitte, il quinto miglior risultato di sempre dopo Ferguson, Mourinho, Wenger e Benitez), da allenatore campione d’Inghilterra in carica e da miglior manager del 2016 secondo la FIFA.

Grazie, Claudio. Con te abbiamo corso, abbiamo gioito e sospirato, e abbiamo pensato che sì, questo calcio può ancora regalarci storie belle. Ora, il risveglio è più amaro. Non è facile comprendere il perché di tutto ciò. Restano però i ricordi, il trionfo, i sorrisi, le emozioni cavalcanti e un trionfo che abbiamo sentito in parte nostro. Un comunicato non può cancellare la Leggenda. Quella rimarrà di certo. Nel cuore, nella storia, nel passato. Nel futuro. Sir Claudio Ranieri da San Saba, Testaccio, ha battuto anche il tempo. Perché una favola così non avrà mai un finale.