Goycochea ricorda Italia ‘90: “Prima dei rigori urinavo in campo”
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“In quel Mondiale è cambiata la mia vita” così Sergio Goycochea a distanza di trent’anni ricorda quell’estate italiana. Colui che ha messo fine al sogno azzurro ed è diventato idolo in patria e l’incubo di una generazione di italiani. Il vero antieroe della nazionale di Totò Schillaci e Vicini. “L’Argentina arrivava da campione in carica e c’era già grande soddisfazione nel far parte di quella rosa. Con il tempo poi pensi a quello che era accaduto prima, le accuse che mi erano state rivolte sulla mia salute. L’unico punto a mio favore era il tempo che passava: due anni dopo il calcio mi ha dato una rivincita, nel miglior scenario possibile” rivela a Gianlucadimarzio.com il 56enne ex portiere argentino che si prese la scena parando quattro rigori in due partite con Jugoslavia e Italia.
Un muro di 185 centimetri con il viso da attore, ruolo che ha rivestito successivamente in un paio di telenovelas, anche se mai da protagonista come in quella Coppa del Mondo. El Goyco non solo non era partito titolare, ma inizialmente non era nemmeno stato convocato. Ed è per questo che se sfoglierete l‘album Panini non troverete la sua figurina. Il ct Bilardo aveva inserito nella lista Pumpido come titolare e Islas come vice, ma quando quest’ultimo si rifiutò di fare il dodicesimo ecco che la scelta ricadde su di lui. “Ricordo che parlava velocissimo. Quando mi comunicò che sarei entrato nella lista dei convocati iniziò a parlarmi di Falcioni (portiere dell’América de Cali col quale era in ballottaggio, ndr). Non so perché, ma avrebbe potuto dirmi ‘vai te’ e poi darmi tutte le spiegazioni, invece fece il contrario. Temevo di non essere convocato (ride, ndr). Ma Bilardo ha rappresentato tante cose per me. Mi ha trasmesso l’amore, il senso di appartenenza, il significato di avere la maglia della nazionale sul petto e rappresentare il paese con questi colori”. Nel giro di poche settimane da sconosciuto a figura indiscussa al pari di Maradona e Caniggia.
IL MONDIALE, I RIGORI E LA CABALA
Dopo la sconfitta all’esordio contro il Camerun con errore decisivo di Pumpido, il numero uno argentino si infortunò nei primi minuti del match con l’Unione Sovietica. È qui che inizia la storia di Goycochea. Dopo il girone, l’Argentina superò il Brasile anche grazie alle sue parate e arrivò ai quarti di finale contro la Jugoslavia. “Non credo di aver salvato Diego. Non veniva eliminato Maradona, ma l’Argentina. Non l’ho mai interpretata in modo diverso”. Il commento dopo la serie di rigori contro i balcanici, nei quali c’era stato anche l’errore di Maradona. Ma in quell’occasione al Franchi di Firenze nacque una cabala, un gesto naturale quanto insolito che verrà ripetuto. “Nacque per una questione di necessità: dopo i tempi supplementari dovevo urinare, ma non potevo tornare negli spogliatoi. Avevamo giocato in tardo pomeriggio con 25° e avevo bevuto un litro e mezzo d’acqua, così urinai in campo e vincemmo. Nella partita successiva con l’Italia non ne avevo bisogno, ma lo feci lo stesso e funzionò”.
La semifinale contro gli azzurri si giocò al San Paolo. Nella città in cui Maradona era più amato in assoluto. “Di tutte le sedi che c’erano per giocare contro l’Italia, sicuramente avrei scelto Napoli per Diego. Non è che giocassimo in casa, ma era lo stadio più neutrale di tutti. Durante la partita spesso si sentivano gli applausi per lui e almeno non lo insultavano come da altre parti. Era una posizione difficile anche per i napoletani”. Quel 3 luglio 1990 rimarrà alla storia per i due rigori calciati da Donadoni e Serena tra i guantoni di Goycochea, mentre Baggio si salvò per questione di millimetri. Qui nasce il suo mito. “Il grande segreto per pararli è andare nella stessa direzione della palla (sorride, ndr). Non ci sono segreti, ma tecniche che hanno a che fare con l’intuizione, la potenza nelle gambe. Un qualcosa che non si spiega, come guardare il corpo di quello che sta per calciare per provare a intuire il tiro. Un po’ come quando il tennista guarda l’inclinazione e poi va a cercare la palla. Facevo sempre così, sia con quelli parati che con quelli subiti: non è una questione di fortuna”.
Fece così anche contro la Germania in finale, con il rigore calciato da Brehme all’83’, ma si dovette arrendere. “Quel rigore è stato tirato bene. Riguardandolo sembra che ci sia andato più vicino a pararlo di quanto fosse realmente. Pensavo che tirasse da quella parte, ma speravo che lo facesse a mezza altezza, più alto”.
MARADONA E L’ITALIA
Quel mese in Italia è stato il più importante della sua carriera. A gennaio, prima della pandemia, Goycochea è tornato nei posti che lo hanno reso celebre, come Firenze e Roma. Ma gli sarebbe piaciuto anche giocarci, in particolare in una città, anche se chiamate da club italiani dopo quello che aveva fatto non ne ha mai ricevute. “Era un altro calciomercato. Non c’erano così tanti argentini in Europa e soprattutto non c’era un grande mercato dei portieri. Se avessi potuto scegliere però, mi sarebbe piaciuto giocare nel Napoli. Oggi in Italia c’è Musso, un portiere con qualità molto buone. Alla sua età è molto importante avere continuità e il fatto che sia stato chiamato in nazionale dimostra la sua crescita. Credo che avrà un grande futuro davanti a sé”.
Napoli e Maradona, un connubio indissolubile. Goycochea è stato conquistato dal calore del San Paolo e ovviamente gli sarebbe piaciuto giocare con Diego anche nel club. Con lui finì sulla copertina di El Grafico dopo i rigori con la Jugoslavia, lo stesso giornale che anni prima lo aveva accusato di avere l’AIDS. “Oggi il nostro rapporto è un po’più distaccato, ma abbiamo sempre avuto una buona relazione. L’ho avuto come allenatore al Textil Mandiyu, sono stato suo ospite in un programma televisivo e il suo ultimo gol da professionista lo ha segnato proprio a me: non mi manca niente (ride, ndr)”.
Dopo quella finale Goycochea ha avuto modo di rifarsi vincendo due edizioni della Copa America e una Confederations Cup, ma nell’immaginario collettivo di italiani e argentini, il suo nome viene riportato sempre ai rigori di Italia 90. Eroe o meteora simbolo della disfatta azzurra ad un passo dalla finale, a seconda dei punti di vista. Perché alcune volte si può entrare nella storia anche senza alzare un trofeo, ma chissà se quella partita contro i tedeschi si fosse decisa ai rigori.
Di Mattia Zupo