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“Un campione di umiltà”: il ricordo di Giovanni Lodetti nella sua seconda casa

Massimo Dancelli, allenatore dell’Iris 1914, ricorda l’amico Lodetti, mediano del Milan di Rocco: “Ci lascia un uomo di grandi valori”

Un bar di fronte ai campi. Il tennis, le carte e una tazza di camomilla. L’Iris 1914 è stata la seconda casa di Giovanni Lodetti negli ultimi venticinque anni. Il “Basletta”, ex centrocampista del Milan di Nereo Rocco, scomparso il 22 settembre, passava tutti i pomeriggi ai tavoli del centro sportivo a pochi passi dal Naviglio Grande.

Quando entriamo, i ragazzi si stanno allenando sui campi, gli allenatori distribuiscono pettorine e palloni. Ma nell’aria si scorge un velo di malinconia, che diventa palese quando menzioniamo il nome di Lodetti: “Giovanni era uno di casa qui, di famiglia. Veniva ogni giorno da venticinque anni. Aveva un’umiltà incredibile: con lui se ne va un esempio di valori per i giovani“. 

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Massimo Dancelli, all’Iris dal 1982. Ha ricoperto tutti gli incarichi: dall’allenatore al presidente

Giovanni Lodetti, il ricordo di Massimo Dancelli

Il racconto è affidato a Massimo Dancelli, classe ’44, figura chiave per l’Iris e amico storico di Lodetti. “Ci siamo conosciuti quando eravamo ragazzini, giocavamo entrambi nelle giovanili del Milan. Poi lui ha fatto strada, io ho avuto tanti infortuni e mi sono fermato. E alla fine ci siamo ritrovati qui“.

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Giovanni Lodetti sul campo dell’Iris. Foto: Mourad Balti

Da Milanello ai campi di Via Faraday, dove dal 1982 Dancelli allena i ragazzi degli Esordienti: “Giovanni è venuto all’Iris per la prima volta dopo la chiusura del circolo tennistico dei Ferrovieri di San Cristoforo, parliamo di 25 anni fa. Ha portato qui il suo gruppo di amici: giocavano a tennis, poi con l’età hanno smesso. Ma lui è rimasto qui e fino ai tempi del Covid ha passato quasi tutti i pomeriggi al bar a giocare a carte. Scherzava spesso e beveva sempre la sua camomilla, mentre raccontava aneddoti della sua carriera“.

Con Rivera aveva un rapporto particolare: non erano in conflitto, ma lui faceva il lavoro sporco e il Golden Boy si prendeva le prime pagine“. Insieme, Lodetti e Rivera hanno vinto tutto: con il Milan, due Coppe dei Campioni, due Scudetti e una Intercontinentale. E in Nazionale, l’Europeo del 1968. “Ma Giovanni non amava vantarsi. È sempre stato lo stesso di quando aveva 16/17 anni “. Riservato, umile: “Veniva da una famiglia modesta che gli ha trasmesso questi valori“.

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Dopo il calcio, ha lasciato le luci dei riflettori. E del pallone non ne voleva più sapere: ho provato a coinvolgerlo nei progetti della scuola calcio qui all’Iris, ma non c’è stato verso. Giocava a carte, pensava alla sua azienda di ceramiche ed era sereno così“. Non si è mai pentito di questa scelta: “Del calcio ho un po’ di nostalgia quando vedo i ragazzi correre sul sintetico dell’Iris“, aveva raccontato Lodetti in occasione del centenario della società, nel 2014. “Ma non capirei mai certi atteggiamenti. Il telefonino, i tatuaggi, le battute strafottenti. Io non rimpiango nulla, non avrei mai voluto essere un altro”. Parole di un campione silenzioso, che alla celebrità ha preferito essere semplicemente se stesso.

A cura di Davide Lusinga e Luca Bendoni