Gerson, altro show al Franchi. La Fiorentina per rinascere
L’infanzia difficile per le strade di Belford Roxo, l’aneddoto della bottiglia e i sacrifici del padre. Poi la chiamata di Sabatini e le difficoltà alla Roma. Un gol e un assist alla sua prima al Franchi dopo la doppietta dell’anno scorso. Adesso Gerson vuole prendersi la Fiorentina e la Nazionale.
L’immagine più bella della spumeggiante serata di ieri al Franchi la regala Tomovic, ex di turno che – dopo il gol del 4-1 – decide di dedicare il tutto all’amico Davide. Troppo fresco in lui il ricordo di Astori. Braccia alte verso il cielo, occhi lucidi e standing ovation da parte dei suoi ex tifosi.
La seconda, invece, è l’esultanza di Gerson che, dopo la rete del 2-0, si tuffa letteralmente in mezzo al popolo viola. Abbracci ricchi di affetto, come gli applausi al momento del cambio. L’ultima volta che aveva messo piede al Franchi lo aveva fatto da avversario. Maglia della Roma sulle spalle, a destra del tridente formato da Dzeko ed El Shaarawy. E’ inizio novembre e piove. I giallorossi vincono 4-2, terzo successo consecutivo. Lui ne fa due, i primi gol della sua avventura italiana. Sotto la Fiesole, a differenza di quanto fatto con il Chievo. “L’anno scorso non ero pronto – dice nel post partita – adesso ho svoltato”. Sembra la volta buona per la sua consacrazione, ma da quel momento in poi Di Francesco lo farà cominciare dal 1’ solo in altre sei occasioni.
Troppo poco per chi si è sentito definire come il nuovo Pogba. Per chi ha esordito nel campionato brasiliano a soli 17 anni, finendo con l’attirare su di sé l’interesse dei grandi club europei. Nella sua vita è stato tutto veloce. Il primo a credere nel suo talento è papà Marcao. Galeotta fu quella bottiglia d’acqua, già. Un giorno i due sono in cucina, la bottiglia cade dal tavolo e il piccolo Gerson si coordina per colpirla al volo. Di lì l’illuminazione negli occhi del padre, che ne intravede il talento.
“Un dono di Dio” Dirà successivamente. I guadagni del suo lavoro sono gli unici a portare avanti la famiglia. Gerson e i suoi tre fratelli, che devono fare i conti con la povertà e con la violenza di Belford Roxo, una delle città più povere della galassia metropolitana di Rio de Janeiro. Spesso a casa non c’è niente da mangiare: “Tranne i fagioli, quelli c’erano sempre” Ricorderà Gerson con il sorriso. Ma dopo quel calcio alla bottiglia, il padre decide di abbandonare tutto. Si licenzia e consegue il patentino da allenatore frequentando i corsi pubblici. Vende ferro vecchio e chiede prestiti per permettere al figlio di allenarsi. Lo porta in giro a fare provini, come quello fallito al Flamengo. Non si perde d’animo, però, e alla fine ha ragione. Il giovane Gerson entra nelle giovanile della Fluminense, che sarà la sua nuova casa per undici lunghi anni.
A 17 anni è già convocato in prima squadra. Condivide lo spogliatoio con un certo Ronaldinho, sua fonte di ispirazione da sempre insieme a Robinho. Il Gaucho lo chiamerà al telefono prima del suo trasferimento alla Roma: “Lì sarà dura – gli dice – il trucco? Vas a ser feliz, siempre”. La felicità l’ha ritrovata ieri, con il Chievo. Un gol e l’assist per Chiesa. Figlio d’arte, proprio come Simeone jr, suo avversario nel campionato sudamericano Under 20 tre anni fa. Il suo Brasile arriva quarto, prima proprio l’Argentina del Cholito, assoluto condottiero con nove gol.
Gennaio 2015, giorni difficili per Gerson. In estate la Roma lo ha acquistato per più di 15 milioni di euro, soffiandolo ad un Barcellona che si era mosso prima di tutti per poi vedersi il mercato stoppato dalla Uefa. Ma non può giocare, perché il posto riservato agli extracomunitari è già occupato da Dzeko e Salah. Prestito al Frosinone? No, non se ne parla. Vuole tutto e subito, maledetta ambizione. Alla fine tornerà in Brasile e con la Roma esordirà nell’estate dello stesso anno. Lo fa nel preliminare di Champions con il Porto, non il modo migliore per iniziare. Ad aspettarlo c’è Walter Sabatini, che dopo averlo acquistato gli invia a casa anche la maglia numera 10: “Ma quella è di Totti!” Insorge il web. Troppo innamorato del brasiliano per badare ai particolari l’allora ds della Roma, che qualche anno dopo però lo punzecchia: “Se lo porto alla Samp? No, è un giocatore indolente, che si accontenta – dirà – gioca semplice, troppo. Una volta gli ho scritto: ‘Mi corri in verticale con la palla e mi dribbli un uomo una volta ogni tanto?’.
Spalletti lo definisce “bellino” senza troppo entusiasmo. Non lo vede mai, lo fa cominciare titolare in campionato appena due volte. La seconda dove? Allo Stadium, contro la Juve. Lo schiera terzino: “Per arginare Alex Sandro” Si giustifica nel dopo partita. Il risultato è un disastro, Gerson viene sostituito all’intervallo ed è inondato dalle polemiche. Nella finestra invernale di calciomercato si fa avanti il Lille: prestito con diritto di riscatto per un totale di 18 milioni l’offerta. Sembra tutto fatto, lui fa visita al centro sportivo. Ci sta qualche ora, poi ci ripensa e torna indietro. Vuole dire la sua alla Roma, vuole continuare ad imparare da Nainggolan e Totti, i suoi modelli.
La musica, un anno e mezzo dopo, si ripete proprio con la Fiorentina. Accordo fra le società sulla base di un prestito secco. Lui si reca al centro sportivo “Davide Astori” ma la presentazione viene rinviata. Motivo? Gerson non è in città, è tornato a Roma. Per stare vicino al padre, che ha avuto un piccolo malore dicono alcuni; perché ci ha ripensato di nuovo sostengono altri. La presenza a Firenze di Balzaretti, che si occupa della questione prestiti per il club giallorosso, a suscitare più di qualche dubbio. Un colloquio dai toni alti con Monchi l’ipotesi avanzata dai più fantasiosi. Fatto sta che Gerson a Firenze ci è tornato, scusandosi. Si è presentato e si è messo a disposizione di Pioli. L’obiettivo? “Giocare, perché al mio terzo anno in Europa devo farlo – ha detto – solo così posso raggiungere la Nazionale”. Dipenderà tutto da lui, insomma. Un futuro tutto da scrivere, un presente a tinte viola. Intanto, però, l’inizio fa ben sperare.