Foggia, Zamparini, Palermo. La felicità di De Zerbi: “Se ci alleniamo bene, per sopravvivere mi bastano le sigarette”
Da una Serie B solamente sfiorata con il Foggia alla chance Crotone, passando per l’improvvisa ed inattesa possibilità di sedere sulla panchina del Palermo. Giovane ma al contempo esperto, Roberto De Zerbi, con idee chiare e voglia di marchiare sempre più fortemente con la sua idea di calcio il gruppo rosanero: ai microfoni de “La Gazzetta dello Sport”, il 37enne allenatore bresciano ha parlato di questo e molto altro. “Siamo ancora distanti dal mio calcio, ho bisogno di tempo. Sono l’ultimo arrivato in A, rispetto gli avversari ma pretendo che la mia squadra abbia la mentalità per fare sempre la partita. I giocatori si applicano e mi seguono. Ancora, manca il coraggio che gradualmente porterà alla trasformazione del Palermo”.
Poi, spazio al capitolo relativo al legame con Zamparini: “Con il presidente ho instaurato un bel rapporto, restando me stesso, perché non riesco a mettermi una maschera per apparire in modo diverso. Capisce di calcio, è competente, parliamo due, tre volte a settimana, mai alla fine delle partite. Ascolto tutti, ho bisogno soprattutto dei consigli di chi mi sta vicino e può aiutarmi, appunto come Zamparini. Lui mi ha voluto, con il d.s. Faggiano e il consulente Gianni Di Marzio. Il presidente mai ha fatto pressioni sulle mie scelte. Già mi conosce bene, sa che alla fine decido io. I cinesi? Oggi c’è Zamparini e la sua struttura: io sto benissimo. Il presidente saprà valutare gli affari societari”.
Dalle scrivanie della presidenza al campo: “Non mi vincolo a un modulo: un allenatore deve avere l’intelligenza di adeguarsi alle caratteristiche dei giocatori. A Foggia facevo il 4-3-3. A Palermo ho puntato sulla difesa a tre, non per arroccarci ma per esaltare la qualità in fase offensiva di Rispoli e Aleesami. Ma non ho cambiato i princìpi dell’organizzazione tattica. Vorrei che si cercasse il divertimento anche nel calcio ai massimi livelli professionistici. Al Palermo servono il coraggio e la consapevolezza che è più facile arrivare al risultato attraverso l’organizzazione: sono orgoglioso di allenare ragazzi fantastici, curiosi e ansiosi di apprendere. Su tutti, Diamanti è un modello: ha l’entusiasmo di un bambino e la saggezza di un giocatore di caratura internazionale”.
Tre stagioni fa la panchina del Darfo Boario in Serie D, ora la A tra modelli particolarmente ammirati: Iniziando la carriera di tecnico non mi sono posto traguardi e paletti, pur essendo molto ambizioso. Mi è servito, eccome, essere stato calciatore; so quello che i giocatori si aspettano dal tecnico. Possono anche darmi del tu ma non potrò essere mai loro amico. Ammiro tantissimo Conte, che ha cominciato ad allenare più o meno alla mia stessa età, Montella e Paulo Sousa, capaci di mettere la loro impronta sul gioco. A me è scattata la molla negli ultimi anni da calciatore: avevo 32 anni, giocavo in Romania nel Cluj e non vedevo l’ora di rientrare in Italia, per pensare al mio futuro in panchina. La svolta decisiva arrivò grazie a Stefano Baldini e Michele Cavalli, prima al Milan e ora alla Juventus responsabili della metodologia nel settore giovanile. Quanti confronti con loro, quante indicazioni mi hanno dato, fondamentali per cominciare a “pensare” da allenatore”.
Dalla rottura con il Foggia, infine, a Nestorovski, passando per la vita fuori dal campo: “A Foggia, al netto dei miei errori tecnici, ho sbagliato a fidarmi di persone sbagliate. Solo io e i dirigenti sappiamo la verità. E nessuno potrà cancellare il mio amore verso squadra e tifosi. Nestorovski? Il presidente lo ha accostato, a giusta ragione, a Pippo Inzaghi. È veloce, ha il fiuto del gol, “sente” l’area di rigore. Ha grandi prospettive. Magari gli farò avere qualche dvd sulla carriera di SuperPippo, così Nestorovski studierà per migliorarsi. Per quanto concerne la vita, non riesco a godermi la città, tanto sono preso dal lavoro. Poche volte vado a mangiare fuori. Anche perché, se la squadra si allena bene, sono già sazio di felicità: per sopravvivere, mi basta un pacchetto di sigarette. I tifosi mi fermano per strada e mi parlano dei loro sogni. Li vorrei più vicini ai giocatori, che non sono scarsi e destinati alla retrocessione, come sono dipinti sin dal precampionato. Il Palermo merita affetto, sapremo ripagare…”.