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Fiorillo, “falco” non volato via: “Pescara, la mia Champions”

In estate la proposta del Qarabag: tanti soldi e la possibilità di giocarsi l’Europa più grande. Rifiutata, per restare nella terra che l’ha adottato e che vuole riportare in A

La foto del profilo whatsapp dice tanto di lui. In volo, per parare un tiro di Gabriele Aldegani, l’uomo che ogni giorno lo prepara a difendere la porta del Pescara. “Una delle 250 ripetizioni quotidiane che ci fa fare”.

Volare fra i pali è sempre piaciuto a Vincenzo Fiorillo. Il “falco di Oregina”, così lo chiamavano fin dagli inizi. Un portiere capace di sorvolare le difficoltà di un quartiere di Genova difficile “dove cresci prima, per strada. Dove inseguire un pallone può essere una via d’uscita o almeno un’evasione”, racconta a gianlucadimarzio.com.

Lui ha scelto subito di fermarsi e guardarli correre. Ha preferito buttarsi sul cemento “non per vocazione, ma perché in porta non voleva andarci nessuno. In qualche modo dovevamo iniziare a giocare”. E così ha cominciato a volare, ma anche a capire dove fermarsi. Da ragazzo è diventato uomo, da Genova è arrivato a Pescara, passando per Livorno.

Ha vinto due campionati, scrivendoseli sulla pelle. Ha pianto per una promozione sfumata a Bologna sulla traversa di Melchiorri, “il momento in cui si è creato un legame indissolubile con i pescaresi”. Ha resistito a una retrocessione e alle contestazioni, ma soprattutto ha rifiutato la proposta della vita: la chiamata del Qarabag, club più titolato dell’Azerbaijan. Triennale da un milione e mezzo di euro complessivi e la possibilità di giocare i preliminari di Champions League. “Per prima cosa sono andato a vedere su internet dove fosse”.

Più di 4mila chilometri dalla sua casa di Montesilvano e dalle piccole abitudini diventate certezze. “Pensavo di essere uno dei tanti nomi buttati lì e invece ero il primo obiettivo. Il mio agente Simone Pepe, più o meno scherzando, diceva che si erano fissati con me”. C’era da prendere una decisione “e ho preso quella più lungimirante: restare”. Per l’amore del Pescara, ma anche per la Manu, la donna che ha smussato i suoi angoli e per un bambino che ogni giorno scopre il mondo sulle spalle del suo numero 1. “Mi davano la possibilità di far viaggiare la famiglia in modo illimitato. Sono un club all’avanguardia ma io sto bene qui. Montesilvano mi ricorda Oregina: il mare, i quartieri popolari, le strette di mano sincere. Mi sento uno di loro”.

Quella musichetta si può ascoltare anche dal divano, cosa che peraltro fanno anche i giocatori del Qarabag, eliminati alla vigilia di Ferragosto dal Bate Borisov. Al suo posto avevano scelto Halfredsson, il portiere dell’Islanda capace di parare un rigore a Messi nel mondiale russo. Non è bastato.

Rimpianti azzerati, nuovi obiettivi davanti. “È la mia quinta stagione a Pescara, sogno una nuova promozione e sono vicino a diventare il portiere con più presenze nella storia del club. Paolo Bordoni ne ha fatte 130, io sono a 112. È un record a cui tengo molto”. Non è la voglia di essere tatuato in un album dei ricordi ma “il segno che abbiamo fatto tanta strada insieme”. Almeno quanta ne ha fatta lui, dalle salite di Oregina alla cantera della Sampdoria, “dove sono rimasto 10 anni, vincendo uno scudetto Primavera e facendo l’esordio in serie A appena maggiorenne”.

Era il 2008, c’era Mazzarri in panchina e si parlava di lui come “il nuovo Buffon”. Facile perdersi a quell’età, anche per un ragazzone di 1,90 poco incline a contenere certe esuberanze giovanili. “Cose che impari col tempo. Essere atleti sempre, non solo quando indossi i guanti. Non capivo l’importanza di quei momenti. Oggi ho 28 anni e ogni tanto catechizzo i più giovani. Ripenso ai miei errori, spero che siano più veloci di me a capire che il tempo passa in fretta e non va sprecato”.

Quel tempo è passato, magari davvero troppo veloce. Le esperienze a Spezia e Reggio Calabria, il campionato vinto a Livorno, la Samp che smette di credere in lui, la Juve che lo prende in comproprietà. “Andai in ritiro con loro ma ovviamente non avevo speranze di giocare. Non bussava nessuno finché un giorno arrivò la chiamata del Pescara”.

Estate 2014, sliding door di una vita. Prestito, poi riscatto, fino all’ultimo rinnovo di pochi giorni fa: contratto fino al 2022, capitan Futuro, guardiano di una città. La stagione è iniziata bene: 5 punti in 3 partite. Una vittoria e due pareggi, l’ultimo conquistato a Brescia grazie anche a un intervento miracoloso su Torregrossa. “Istinto puro. Parate così ripagano delle ore di lavoro in allenamento”.

E fanno dimenticare altre sirene. Perché è bello pensare al jingle della Champions, ma i rumori del mare e quelli dell’Adriatico oggi contano di più. Cose semplici, come le chiacchiere per strada “senza maschere da calciatore” o i giri in go kart con un piccolo “pilota” accanto. Due caschi, le stesse emozioni. Il tempo va davvero troppo veloce e qualche volta anche Vincenzo corre più del lecito, “sono un raccoglitore di autovelox. Ma mica vado come un pazzo, sono anche un po’ sfortunato ogni tanto”.

Forse lo è stato un po’ anche in carriera, ma “alla fine ognuno ha sempre ciò che si merita”. Valori di un ragazzo di estrazione operaia, come tanti amici con cui è cresciuto. Alcuni hanno anche vinto lo scudetto Primavera contro l’Inter di Balotelli, ma poi sono rimasti intrappolati nelle serie minori. “Il più forte di noi era Gianluigi Bianco. Terzino sinistro, un mancino che difficilmente si trova in giro”. Oggi è al Busalla, in serie D. A volte basta poco per allontanarsi dai propri obiettivi.

Andando verso oriente, capita di vedere falchi ammaestrati. Percorsi già segnati, andata e ritorno dalla mano del padrone. Quelli cresciuti a Oregina seguono la loro via. E magari vedono prima degli altri un puntino chiamato felicità. Accento sull’ultima lettera, quella per cui vale davvero la pena volare ogni weekend.

Si ringrazia per le foto Massimo Mucciante