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Entella, Gozzi: “Cassano? Un’occasione persa per entrambi: sarebbe stato un film”

Mésque un club”. La favola dell’Entella continua e quest’anno sembra quello buono per raggiungere i play-off e giocarsi la promozione. Il vero segreto del club ligure è il presidente Antonio Gozzi che prelevò un piccolo club di Eccellenza ligure facendolo diventare una delle realtà più solide del campionato di Serie B.

“L’Entella è una passione diventata azienda, tipico di un imprenditore: oggi diamo lavoro a 100 persone, davanti c’è solo il Comune” – si legge nelle pagine di Tuttosport – “C’è l’ambizione di dire “Mésque un club”, scimmiottando il Barça. Siamo una piccola città, con una forte proiezione sociale sulla squadra: non tutti vengono allo stadio, ma tutti sanno cosa fa l’Entella. Nonno Arturo ripeteva che Chiavari ha 5 istituzioni: la cattedrale di Nostra Signora dell’Orto, la Società economica, nata nel 1791, l’osteria Luchin, per la farinata, Defilla, il bar per antonomasia, e l’Entella. Prima partita? Settembre 2007, Entella-Sampierdarenese, in Eccellenza. Finì 0-0, una grande emozione. I sentimenti finiscono per distorcere la realtà e pensi che siano state tutte partite bellissime”.

Primi assaggi di calcio: “Sono andato allo stadio a 6 anni. Papà Renato Mario era un commercialista importante, lo vedevo pochissimo. Ma la domenica pomeriggio era per noi e per l’Entella. Abitavamo a 500 metri dallo stadio, si giocava in C. Mi prendeva per mano, facevamo quel tratto a piedi. C’era più pubblico, non esisteva l’autostrada e non si andava a Genova per le partite. All’epoca il calcio non era il mio sport. “Colpa” di mamma Anna. In età da Pulcini avrei voluto andare nell’Entella, lei considerava il calcio un ambiente rischioso per l’educazione di un bambino e me lo proibì. Una tragedia. Mi dedicai alla pallavolo, Nazionale Under 18. E’ arrivato mio figlio Augusto, bravino col pallone, mi ha chiesto di andare all’Entella. Ho seguito il settore giovanile per 10 anni, poi c’è stata la proposta”.

Piena zona play-off: “Oggi siamo dentro, conta esserci all’ultima giornata però. Siamo al terzo anno di B e abbiamo raccolto 50 punti, la mia personale Champions. Dopo averla vinta, però, devi darti altri obiettivi. Abbiamo l’ambizione di essere un modello raro per tre motivi. Primo, in B non c’è un club che investa un milione e mezzo all’anno nel vivaio. Secondo, non vedo chi si occupi così tanto di sociale: la convenzione con l’ospedale Gaslini, le raccolte fondi. Terzo, siamo un modello organizzativo in grande serenità. Ci assomiglia il Cittadella del mio amico Gabrielli. Da dieci anni siamo gli stessi: io, Matteazzi dg, Montali responsabile del vivaio e Superbi ds. E’ con noi dalla D, ce lo invidiano tutti. Ha costruito squadre competitive con budget ragionevoli. Sono arrivati in prima squadra dieci ragazzi del vivaio. La finale di Coppa Italia è un’altra cosa: un bel regalo per i miei 10 anni”.

Giocatori speciali: “Sogno che Caputo vinca il titolo cannonieri, è a tre gol da Pazzini. E penso a Paroni che, dopo aver parato nell’anno della promozione, oggi si è messo a disposizione dalla panchina. Sono legato agli allenatori. A Prina che ci ha portati in B, ad Aglietti, validissimo, a Breda, bravo gestore di uomini. Non riesco a lasciarmi male con chi lavora con me. Cassano? Un’occasione persa per entrambi, Cassano all’Entella sarebbe stato un film. Ma certe cose si fanno quando si sentono. Noi eravamo pronti. Genoa? Nelle grandi città il problema sono i tifosi caldi, gli imprenditori locali non vogliono la gente sotto casa. Preziosi ha fatto tanto. Ferrero lo osannano ma prima erano contumelie”. Futuro: “Il sogno è non muovermi più, dopo 40 anni da zingaro per il mondo. All’Entella ci sto fino a quando mio figlio non mi caccia. Non è operativo, ma ne sa molto più di me. Dopo l’Ascoli mi ha fatto un’ora di lezione al telefono…”.