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“E dire che questa doveva essere l’ultima stagione”. Quadri, da meteora della Lazio a stella della Maceratese

“E dire che questa era la mia ultima stagione…”: e invece Alberto Quadri ci ha ripensato. Trenta presenze, dieci gol e tre assist, stagione da incorniciare per l’ex regista della Lazio, che più avanza l’età più diventa forte. Come Benjamin Button o il buon vino, giusto Alberto? Sono molto felice e ti dirò la verità: è proprio così, pensavo che questa fosse la mia ultima stagione. Invece i numeri e le prestazioni hanno dimostrato che forse qualcosina la posso ancora dare: è uno dei miei campionati migliori. Adesso sono un po’ difficoltà perché devo rivedere i miei piani iniziali. In questo momento a livello societario la Maceratese è in crisi, non prendiamo lo stipendio da ottobre e si parla di tutto tranne che di rinnovi contrattuali”.

Come ti trovi a Macerata? “La città è molto bella, a misura d’uomo, si vive bene: ho portato la mia famiglia e siamo soddisfatti. Purtroppo c’è stato un fatto drammatico come il terremoto che ci ha toccato profondamente. Macerata è un bel posto, che non conoscevo, e dove si può fare calcio di buon livello, ma in questo momento la società non si sta dimostrando all’altezza”. Facciamo un passo indietro, come hai iniziato? “Passione innata, trasferita da mio padre che giocava nelle categorie dilettantistiche. Ho cominciato a 5 anni nell’oratorio del mio paese, Borgosatollo, a Brescia. In uno dei tanti tornei che si fanno da bambini fui notato dagli osservatori del Brescia che mi presero subito. Ho fatto tutta la trafila dai pulcini alla Primavera, ma l’esordio in prima squadra non arrivò perché mi prese l’Inter. Però io sono rimasto tifoso del Brescia e per me aver fatto tutto il percorso con loro è motivo di grande orgoglio: era uno dei settori giovanili migliori d’Italia”.

Sei cresciuto con due grandi modelli? “Già, Pirlo e Baronio, che tra l’altro ho avuto il piacere di rincontrare nella Lazio, sono sempre stati i modelli da seguire per noi più piccoli. Già nella Primavera Andrea e Roberto incantavano: ricordo ancora le partite il sabato. Io e i miei compagni siamo cresciuti nel loro mito e Andrea in effetti è diventato il regista più forte del mondo per almeno 10 anni. E’ sempre stato l’idolo a cui ispirarsi ed è stato impossibile anche solo pensare di avvicinarsi a quello che aveva fatto lui: orgoglioso del fatto che Pirlo sia bresciano”. Poi nel 2001 arrivò l’Inter: “Due anni bellissimi e al secondo anno abbiamo vinto scudetto e Torneo di Viareggio: il massimo a livello giovanile. Era il primo anno lontano da casa, nel ritiro della Pinetina, dove ho avuto incontri fantastici. Ho vissuto in camera per un anno con Nicola Beati, il capitano, un giocatore incredibile ma sfortunatissimo: due infortuni alle ginocchia. Poi c’erano Oba Martins, Pandev, Pasquale, ragazzi che poi hanno avuto una carriera importante”.

Nel 2006 il passaggio alla Lazio, nella trattativa che portò Cesar all’Inter: “Io provenivo da una piccola realtà della serie C e trovarmi in prima squadra con grandi campioni fu come sognare ad occhi aperti. Angelo Peruzzi era il più grande di tutti, sia anagraficamente che per la carriera che aveva avuto. Poi c’era Massimo Oddo in uno dei periodi più belli della sua carriera: veniva dalla vittoria del Campionato del Mondo. Quando arrivai ero un po’ spaventato, ma trovai tanti ragazzi umili e semplici che mi fecero sentire subito a casa. Con alcuni come Baronio mi sento spesso: è stato anche mio testimone di nozze. Poi Simone Inzaghi: ogni tanto ci sentiamo e ci scambiamo qualche messaggio. Sono contentissimo per quello che sta facendo, sta dimostrando di essere un grande allenatore. Debutto a Empoli? Le farfalle allo stomaco cominciarono la sera prima, quando seppi che dovevo giocare. Passai una notte insonne, tante immagini mi passavano per la testa, i sacrifici, gli episodi più simpatici e quelli più duri: era un sogno che stava per realizzarsi. Arrivai alla partita già stanco, come se avessi giocato una finale con supplementari: la tensione aveva prosciugato le mie energie. Poi andò bene e feci anche un assist”.

Cosa non è andato dopo? “Purtroppo è stata la prima e anche l’ultima e questo rammarico mi è rimasto. Mi sono chiesto più di una volta come mai, dopo un esordio tutto sommato positivo, non sono più stato preso in considerazione. Io sono abbastanza fatalista, penso che le cose, soprattutto nel calcio, a volte vanno in un certo modo: si vede che quel tipo di carriera non era nel mio destino. Mi sono rimboccato le maniche, sono ripartito dal basso e ho fatto una discreta carriera da professionista. Anche se non ai massimi livelli sono soddisfatto, perché ho sempre portata avanti il mio lavoro con passione”. In carriera hai cambiato 18 squadre, ce n’è una speciale? “Tre le tante Catanzaro: un anno e mezzo che mi è rimasta nel cuore. Vincemmo un campionato di C2: ambiente molto passionale. Poi Perugia, dove sono stato solo sei mesi: mi ha impressionato tutto, sia a livello calcistico che extra. Un po’ tutte le piazze alla fine ti lasciano qualcosa dentro e ti aiutano a crescere”.

Sei stato anche in Bulgaria… “Ecco, questa è l’unica esperienza da dimenticare (ride ancora). Mi sono trovato veramente malissimo. Modo di vivere e abitudini totalmente diverse e non sono neanche riuscito a legare con gli altri giocatori: se c’è una scelta di cui mi sono pentito è questa. Ma venivo da sei mesi fuori rosa nella Lazio, il mercato era chiuso e avevo voglia di giocare e così mi sono buttato in questa sfida. Ne ho viste di tutti i colori. Il giorno dell’esordio,giocavamo contro la squadra più forte, il CSKA Sofia, il ritiro si concluse con un pranzo assurdo:il menù era composto da pasta ai quattro formaggi, ragù alla bolognese con tantissima cipolla e di secondo c’era un filetto al sangue alto tre dita. Per finire un tiramisù al cioccolato con qualsiasi tipo di crema dentro. Io venivo da 15 anni di pasta in bianco, risotto e bresaola e rimasi scioccato. Loro vivono il calcio in un altro modo e avranno le loro abitudini, ma non facevano per me (ride nuovamente)”.

Cosa ti piace e cosa non ti piace del calcio? “La cosa più bella è quel clima, quell’atmosfera che si crea nello spogliatoio prima della partita. La forza che ci si trasmette in quei momenti e che poi si scarica in campo è unica. E’ la cosa più bella in assoluto e che mi mancherà di più quando smetterò. Cosa non mi piace? Penso che spesso il calcio sia nelle mani di persone che nulla hanno a che vedere con il calcio, che lo fanno più per interesse che per passione. Queste persone finiscono per rovinare uno sport bellissimo”. Cosa avresti fatto se non fosse andata come calciatore? “Non ho avuto molto tempo per pensarci perché è sempre stata una rincorsa per riuscire a diventare un giocatore. Comunque ho studiato, ho fatto il liceo classico: se non avessi giocato a calcio mi sarei iscritto alla facoltà di Lettere. Una cosa che mi ha sempre appassionato. Poi non so dove sarei finito perché non è facile trovare lavoro”.

Programmi per il futuro? “Un sogno spero di realizzarlo quando finirò di giocare, vorrei diventare un procuratore. Vorrei mettere a disposizione dei ragazzi che vogliono crescere l’esperienza che ho maturato in tanti anni di carriera. Ma adesso sono un po’ indeciso. Dopo un’annata così è difficile smettere. Vedrò quali offerte mi arriveranno e valuterò con calma”