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“Diego è stato qui”. Napoli e un funerale sotto la maschera

Ad un incrocio arriva un’auto. Si ferma, la strada è sgombra ma non procede. Si forma una piccola coda, ma nessuno suona il clacson per sollecitare il capofila. “Ma che fa questo? Perché non cammina?” si lamenta spazientito in dialetto uno degli autisti incolonnati. “Non ha visto che è successo?” gli replica il commerciante dal marciapiede vicino. Tutti hanno un’espressione triste, sconfortata. Stanno apprendendo la notizia guardando il cellulare, qualcuno è stato telefonato. Per un po’ si mette da parte la fretta. Il caos che caratterizza a tutte le ore le vie del centro di Napoli, a ridosso della stazione, diventa una serie di rumori normali. Anche perché questo non è il tipo di lutto che si urla. È una morsa che per un po’ ti impedisce di parlare, che spezza il respiro. E poi dopo ti lascia quasi intontito: il mondo intorno sembra proseguire la propria vita in un’atmosfera surreale. 


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Sono i minuti successivi a quando rimbalzano sui dispositivi le prime informazioni sulla scomparsa di Diego Armando Maradona e tutto questo si percepisce guardandosi intorno.

La gente comincia ad affacciarsi, comunica e si fa forza dai balconi. I negozianti, che si preparano a chiudere i negozi, s’interrompono. Agli angoli delle strade se ne parla cercando di capire cosa realmente sia successo, sperano come tutti in una smentita, condividono il proprio dolore sui social network. I più giovani si preparano a muoversi, vanno a prendere caschi e motorini: inizia a farsi strada l’idea di dirigersi verso un luogo significativo. Ci si divide tra il murale dei Quartieri Spagnoli e l’edicola votiva di via San Biagio dei Librai, in pieno centro storico. Il San Paolo da qualcuno viene scartato, è più lontano e già i tanti che vi abitano nei pressi si stanno recando lì con gli striscioni. Quei vicoli, dove scorre l’essenza della città, sono perfetti invece.


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Il reticolato di strade che si sviluppa alle spalle di via Toledo ogni tanto si snoda in una piazzetta. Una è quella che si trova ad un certo punto di via Emanuele De Deo ed è tra le più alte dei Quartieri, dove sono raccolte le opere di tanti artisti di strada, spicca quella per Diego. Il fumo e le luci rosse avvolgono l’immagine che pochi anni fa è stata restaurata da Bosoletti, monopolizzando un ambiente generalmente ricco di colori tra le pitture e le bandiere. S’intona il coro che non è mai stato utilizzato, dopo di lui, quello che fa “Sai perché mi batte il corazon? Ho visto Maradona”. A San Giovanni, dove lo splendido ritratto di Jorit domina sulla facciata di un palazzo, le luci e i fuochi d’artificio sono l’ultimo saluto che gli viene tributato.


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Le persone radunate, nei vari posti, hanno lo sguardo spento. Si vede nonostante le mascherine e gli occhi lucidi, tra la commozione e i fumogeni. Manzoni, guardandoli, li avrebbe definiti “percossi e attoniti”. La misura del dolore descrive la grandezza di Maradona, patrimonio di tutti e idolo di un popolo intero. Dopotutto, d’ora in poi il 25 novembre sarà per sempre il 5 maggio di tutti i napoletani, e non solo.