Questo sito contribuisce all'audience di

Da “confuso” a decisivo, ecco “Montellino” Bernardeschi: sfiorò l’Empoli, ora lo batte

“Fare bene è una cosa, eccellere è un’altra”. Sulla porta dell’Atletico Carrara, la scuola calcio dove Federico Bernardeschi ha tirato i primi calci ad un pallone, c’è una frase che Berna si porta sempre dietro. Lo chiamavano Montellino, proprio come il Vincenzo che qualche anno dopo, ironia del destino, avrebbe avuto come allenatore a Firenze. Federico aveva circa sei anni, festeggiava con l’aeroplanino dopo ogni gol. Ed erano tanti da queste parti, giurano: e c’è da crederci. Quello era il soprannome che la signora Paola, più che una custode per l’Atletico Carrara, aveva dato ad un giovanissimo Federico. Una che andrebbe segnalata allo scouting di qualche grande club, perché senza paura scommise coi genitori del giovane Berna: “Arriverà in Serie A, se esordisce mi portate la sua maglia”.

Capelli biondissimi nelle foto, quasi sempre in compagnia di un trofeo o del suo sinistro micidiale. Nell’album di Bernardeschi, ci sono maglie di tutti i colori: “usavamo quello che si trovava in lavanderia” confessa Fausto Bigarani, anche se tutti a Carrara lo chiamano “Dita”. “Quando le squadre più grandi perdevano qualche maglia e non avevano più una muta completa, le davamo ai piccoli”. Colore? Rossonere come il MilanCarrara, una delle due società che fuse avevano dato vita all’Atletico. L’altra, il Perticata. Colore… nerazzurro. Neanche fosse un derby di Milano, quello che potrebbe accendersi sul mercato proprio per Bernardeschi. C’è rimasto tre anni Bernardeschi all’Atletico Carrara, alla Fiorentina molto di più. Per ora. “Patrimonio della società, della Nazionale e delle squadre che arriveranno in futuro”, ha detto Sousa dopo il derby vinto contro l’Empoli. Doppietta sua, del numero 10. Di Berna, quello che ad inizio anno era “confuso dentro e fuori dal campo”. Quello che da piccolo sfiorò l’Empoli ed ora lo batte da avversario.

Era ancora il 2003, Federico Bernardeschi non aveva neppure dieci anni. Lasciò l’Atletico per andare al Ponzano, orbita Empoli appunto. In azzurro infatti lavorava Stefano Cappelletti, fu lui a notarlo per primo. E la Fiorentina? L’anno dopo, perché Cappelletti nel frattempo era passato in viola. Sliding doors. A Carrara di Berna ricordano i sorrisi, il talento e le esultanze. Arrivava dal mare e si fermava direttamente in un campo sportivo poco distante da casa sua. Appena il tempo di togliersi le ciabatte e infilarsi gli scarpini, e poi via a rincorrere un pallone per calciarlo in rete. “Shevchenko, Shevchenko, Shevchenko…. Goooool! Sheva!” faceva la telecronaca delle sue azioni, urlava con il suo cuore di fede rossonera. E poi via, con l’aeroplanino. Montellino ne ha fatta di strada, oggi vola nella e con la Fiorentina di Sousa. Oggi a Carrara i bambini imitano lui e non Sheva. Aspettando un altro Bernardeschi. Duro come il marmo (in senso di tenacia), talentoso come un artista. Meno confuso di prima. E più decisivo.