“Criticare i bianconeri perché sono arrivati secondi in Champions è pura ignoranza”: a tutto Sacchi
Passato, presente e futuro. A tutto Arrigo Sacchi: sul calcio italiano, sui calciatori, sugli allenatori. Su Juventus, Napoli e Milan. Senza freni. L’ex allenatore e CT si racconta a GianlucaDiMarzio.com. E cominciamo da…
Sacchi, come vede la situazione generale del calcio italiano?
Il nostro, grazie a alcuni club, è diventato un football più ottimistico-orientato, rispetto al pessimismo che abbiamo sempre avuto nel nostro modo d’intendere il calcio. L’abbiamo sempre inteso come uno sport difensivo e come uno sport individuale, e invece i padri fondatori l’avevano pensato come uno sport offensivo e di squadra.
Il calcio è uno specchio del Paese?
Nel calcio si riportano pari pari quelle che sono la storia e le tradizioni della società e della cultura d’impresa. Adesso ci sono squadre, forse anche grazie alla globalizzazione, che hanno messo al centro del progetto un calcio offensivo e di squadra, per migliorare anche i singoli, mentre prima si allenava spesso addirittura individualmente. Questo è un controsenso. Perché devi allenare individualmente?
In questo senso vede miglioramenti, quindi?
Il pessimismo inibisce completamente la creatività. Noi abbiamo l’emisfero di destra preposto alla creatività che viene completamente inibito dal pessimismo. Inoltre, se lo pensi come sport individuale, alleni individualmente, e allora la tua didattica sarà analitica. Ma qui c’è un contrasto. La didattica analitica in uno sport di squadra complica la vita al sistema nervoso centrale. Noi percepiamo il calcio in un modo strano. Molti disconoscono il merito, le emozioni, lo spettacolo, la bellezza. Il calcio dev’essere inclusione, dev’essere innovazione!
Cioè ci sono stati progressi e miglioramenti, in questi anni?
Diceva Cassius Clay: “Quando a 50 anni pensi come quando ne avevi 20, vuol dire che hai buttato via 30 anni della tua vita!”.
Mentre un altro grande in altri ambiti, Winston Churchill, intorno al 1949 / 1950, diceva che cambiare non equivale a migliorare, però per migliorare bisogna cambiare. Da noi il concetto di calcio spesso è sempre quello vecchissimo del “prima non prenderle e poi si vedrà”, però ultimamente non sono tutti così, c’è qualche elemento che mi fa ben sperare, qualche realtà nuovo, anche qualche allenatore nelle serie minori, che hanno più coraggio, sono più generosi, il loro spettacolo è più vivo. Nei giorni scorsi ho guardato Chelsea – Arsenal: fino al novantatreesimo la partita era in bilico, poteva finire 10 a 10. Quello ti fa emozionare. Da noi sono tutte partite molto tattiche, chiuse, fino al novantesimo, piene di paura, di pessimismo, si spera in una situazione per poi difendere. Questo non c’entra, non è calcio. Per la verità sviluppa alcune componenti, per esempio le capacità cognitive nei nostri calciatori sono elevatissime, però più per paura che per cultura.
In questo momento quali allenatori e quali squadre Le piacciono di più?
Tutti quelli che cercano di giocarsi la partita in modo positivo, che credono nel proprio lavoro e lo dimostrano con i fatti, giocandosi la partita con un calcio offensivo, un calcio di dominio. Ce ne sono quattro o cinque. M’è dispiaciuto che sia andato via Sousa, che faceva parte di questo gruppo.
E Sarri?
Mah, Sarri (fa una lunga pausa, ndr).
Di Francesco. Poi dipende molto dal club in cui sei. Ci sono quelle che ti consentono di stare meglio o peggio. Però Eusebio è un altro di questi, che ha messo al centro del progetto la squadra, il gioco, la bellezza, le emozioni, i sincronismi, le collaborazioni, non solo la motivazione. Lei non sente mai parlare di gioco! Perché essendo un elemento astratto si pensa che non si a importante. Noi badiamo più ai piedi che al cervello, alleniamo più i piedi che il cervello. Lei pensi che abbiamo i neuroni che se non vengono allenati si atrofizzano!
E Montella? Le piaceva?
Io non ho mai visto Montella allenare, non posso dire. In principio mi sembrava che cercasse di dare un’identità alle proprie squadre e spero che lo faccia anche in futuro. Glielo auguro.
Quindi più che qualcuno in particolare Lei percepisce un miglioramento generale?
Lo stile non può essere fare catenaccio! E non ho mai saputo che a distruggere si impari di più che a costruire, né che si emozioni di più la gente, né che cresca l’autostima, più che a costruire.
Anche adesso ci sono squadre molto arroccate, dove l’ortodossia è ancora totale. Però adesso anche loro qualcosina in più fanno. Poi ci sono veramente delle squadre che cercano un calcio più positivo, propositivo, coraggioso, più ottimistico.
Per esempio, l’Atalanta gioca un calcio internazionale, e infatti in Europa va benissimo.
E la Juventus? Perché ha questa difficoltà a vincere le finali? C’è chi dice che non sia “abbastanza europea”. Perché?
Perché siamo ignoranti noi. Molti giornali in questi giorni hanno messo tra le cose non buone del 2017 il secondo posto della Juve in Champions. Questa è ignoranza! È un’apertura mentale mediocre! Se riusciamo a concepire solo il primo posto siamo veramente degli ignoranti! La Juventus la puoi criticare per molte cose, perché non sempre il suo gioco è fluido, emozionante, non sempre è così generosa, fa goal e si chiude, non le interessa lo spettacolo, ma d’altronde lo dice anche il suo allenatore.
Però la Juventus ha fatto due secondi posti in tre anni. Non è bravo solo il primo! Sembra quasi che ci si vergogni del secondo posto.
A me capita che mi dicano, ancora oggi: “Ah, peccato per quel secondo posto!”. Io mi arrabbio. E chiedo sempre: “Scusi, che lavoro fa Lei? Perché qualunque sia il Suo lavoro, Le auguro un giorno di essere il secondo nel mondo!”. Allora quello che m’ha fatto la domanda capisce aver detto una… E sta zitto.
C’è da essere ottimisti?
Sì, ci sono squadre anche piccole, come l’Empoli di Sarri, il Sassuolo di Eusebio, l’Atalanta di Gasperini, che portano ottimismo al calcio italiano! Ho guardato i quarti di finale dell’Atalanta a Napoli: vincono due a zero, prendono un goal su un errore del portiere, mancano otto minuti alla fine. La nostra istintiva relazione da italiani sarebbe stata: catenaccio! Tutti dietro a difendere per quegli ultimi otto minuti. E invece loro attaccavano, tenevano la squadra alta, il baricentro lontano dalla loro porta, hanno aggredito il Napoli, che non usciva più dalla sua area: a me sembra sempre più difficile prendere goal se si tiene l’avversario a 50 metri dalla tua porta.
Lei è stato definito un rivoluzionario. È così?
No, in realtà io ho sempre cercato di fare le cose in modo che al centro ci fosse la bellezza. Ho sempre pensato che il merito fosse una regola. E il calcio non è solo agonismo, è dare emozioni. Il calcio per me è musica.
E Gattuso come lo vede?
Gattuso è una grande persona! Gli auguro i maggiori successi, per il bene che voglio a lui e al Milan! Come tecnico, purtroppo, ammetto la mia ignoranza, ho seguito poco la C e la B, quindi non lo conosco.
Significa che ha poca esperienza per allenare il Milan?
Io d’esperienza non posso parlare. Arrivai dal Fusignano, in seconda categoria. Andai in prima categoria e dissero che non potevo allenare in prima. Poi dalla prima categoria feci il salto e andai in quarta serie, che allora erano professionisti! Nemmeno a parlarne! Dissero che non avrei assolutamente potuto allenare tra i professionisti. Andai in C e a Rimini, quando mi misero fra i candidati possibili, scrissero: “Per favore non facciamo certi nomi!”. Questa era l’accoglienza che avevo.
Lo scetticismo che c’era nei suoi confronti lo ha rivisto in quello che ha subito Gattuso?
Io credevo in un calcio che non era rivoluzionario: era solo un calcio non italiano. Quel che facevo al Milan, lo facevo a Parma e ovunque, solo che avevo degli interpreti non così affermati. Il problema è che in genere quando hai degli interpreti affermati vogliono giocare per loro conto e questo non è possibile.
Chi è il Suo erede nel calcio moderno?
Tutti quelli che giocano un calcio di dominio, un calcio da protagonisti e non da comprimari. Quelli che cercano di dare emozioni al pubblico. Questo è fondamentale!
E come si ottiene questo?
Un giorno Van Basten mi disse: “Lavoriamo troppo, così non mi diverto!”.
Gli dissi: “Intanto non ho mai saputo che facendo poco si abbia tanto! E inoltre noi ci dovremmo divertire per una proprietà transitiva. Noi siamo stati fortunati a tramutare una passione in un lavoro. Le persone vengono a vederci giocare e vogliono emozionarsi, devono avere in dono da noi quella passione e quel divertimento, quelle emozioni! Cioè saremo tanto più bravi quanto più riusciremo a far divertire quelle 60, 70, 80, 90.000 persone, che vengono tutte le Domeniche a vederci. E ricordati che se a loro darai tutto con generosità e loro avranno delle emozioni, te ne saranno riconoscenti tutta la vita!”.
E l’avete fatto.
E così è! Sono passati più di vent’anni dall’ultima volta che ho allenato il Milan, eppure ancora adesso mi fermano per strada, per fare foto, autografi, firme, e non solo i tifosi del Milan. Questo vuol dire che ho trasmesso loro delle emozioni. E io ho sempre dato il massimo di quello che potevo!
E i cinesi come li vede?
I cinesi in generale sono meno affidabili degli italiani. Però non tutti! Spero che quelli che vengono da noi siano tra quelli affidabili. La partenza non è stata buona! Sono state commesse evidentemente delle superficialità. Errare umanum est! È perseverare che è diabolico. Speriamo che lo capiscano.
Chi vince il campionato?
Non ho mai nemmeno fatto la schedina! Non so proprio prevedere.
Andrea Bricchi
(@andreabricchi77)