L’ora di Coman: dall’ipotesi-ritiro a uomo Champions
“Se il mio piede non è fatto per questa vita, vorrà dire che ne avrò un’altra”.
Che tipo di vita?
“Una vita più… anonima”.
Anonima: leggerlo ora ci fa scappare un sorriso. Perché “anonimo”, per il resto della sua vita, Kingsley Coman non potrà esserlo mai più.
L’8 dicembre 2018, l’esterno del Bayern Monaco tornava in campo dopo un lungo periodo di stop, reduce da due lesioni alla stessa caviglia che l’avevano costretto a operarsi.
Da un lato, le decine di trofei vinti in giro per l’Europa, gli scudetti con PSG, Juve e Bayern in bacheca, un conto in banca da milionario e un lavoro da sogno. Il tutto, alla tenera età di 22 anni.
Dall’altra parte, una serie di problemi fisici, di interventi chirurgici e programmi di recupero da rispettare che hanno portato Coman allo stremo dal punto di vista psicologico. Nulla di segreto, ha deciso Kingsley di raccontarlo alla stampa tedesca: “Non sopporterei una terza operazione, piuttosto preferisco ritirarmi dal calcio giocato”.
Chissà: magari è stato proprio quello il momento di svolta della sua carriera. A un anno e mezzo di distanza da quelle dichiarazioni, Coman ha regalato una Champions League al Bayern Monaco di Flick. Dopo un’ora di strappi e dribbling sul prato del Da Luz di Lisbona, gli si è presentato sulla testa il pallone giusto per battere Keylor Navas: pennellata di Kimmich, incornata di Coman, 1-0 contro il PSG e bavaresi campioni d’Europa.
E pensare che, a poche ore dal fischio d’inizio, Coman rischiava di sedersi in panchina per fare spazio a Perisic dal primo minuto. E pensare che, ai tempi di Ancelotti, proprio il PSG aveva fatto debuttare Kingsley (ancora 16enne) nel mondo del calcio professionistico. E dallo stesso Kingsley è stato affondato nella prima, storica, finale di Coppa del club parigino.
TU CHIAMALE, SE VUOI, EMOZIONI
Nel grido di Coman, dopo la rete dell’1-0, c’è tutta la rabbia di quella “giovane promessa” che non hai mai avuto il tempo di diventare grande. Precoce nel PSG, a tratti convincente nella Juve, dopo il passaggio al Bayern il classe 1996 non era mai riuscito a trovare la continuità necessaria per diventare quel fuoriclasse che tutti aspettavano.
L’addio di Robben e Ribery ha contribuito ad aumentarne il minutaggio, una migliore condizione fisica gli ha permesso di salire sul tetto d’Europa, con tanto di corona in capo: l’MVP della finale 2020 non poteva che essere lui. Da cinque anni in Germania, solo cinque volte è andato a segno di testa. E, in tutti i casi, il Bayern ha sempre vinto: una sentenza. Kingsley è caduto, ricaduto e si è rialzato, ma alla fine ha raggiunto il suo momento di gloria.
ROAD TO… DANI ALVES
Con la Champions League di Lisbona, Coman è arrivato a quota 19 trofei conquistati in carriera ad appena 24 anni (compiuti lo scorso giugno). Da quando ha esordito con il PSG, non c’è stata stagione in cui non abba vinto il campionato – prima in Francia, poi con Juve e Bayern -: agli otto scudetti si aggiungono 3 Coppe di Germania, una Coppa Italia, una Coppa di Francia e altre cinque supercoppe. Il miglior palmarès della storia è attualmente quello di Dani Alves, a quota 43 trofei in 19 stagioni. 37 anni per il brasiliano, 24 per il francese: Coman è sulla strada giusta. E pensare che, un paio di inverni fa, lo aveva pensato davvero: “Forse il mio corpo non è fatto per giocare a calcio…”.