L’Italia, il Mondiale, ma ora… Carbonero: “Voglio un’altra opportunità”
Il paragone con Che Guevara, le esperienze con Cesena e Sampdoria, poi l’infortunio e il ritorno in Sud America. Carlos Carbonero si racconta
Dalla disperazione ha pensato di mollare tutto e offrirsi gratis ad alcune società ricevendo però risposte negative. Oltre a cancellarsi dai social network. Oggi Carlos Carbonero ha trent’anni ed è l’esempio di quello che sarebbe potuto essere ma non è stato. Nel 2014 però tutti lo volevano: “Firmai il cartellino con la Roma e poi passai al Cesena. Era la mia prima esperienza in Italia e per fortuna sono riuscito a mettermi in mostra”. All’inizio faticò a inserirsi nel centrocampo dei romagnoli. Si sbloccò nel finale di stagione, ma i suoi tre gol non bastarono per raggiungere la salvezza. “Bisoli era un allenatore esigente e inizialmente ho incontrato diverse difficoltà. Di Carlo mi ha aiutato molto e con lui ho avuto un ottimo rendimento” racconta ai microfoni di Gianlucadimarzio.com.
Nell’estate 2015, la Roma lo ha venduto agli uruguaiani del Fénix ma nell’ultimo giorno di mercato è tornato in Italia per vestire la maglia della Sampdoria. A Genova ha ripagato la fiducia di Zenga e Montella, e ha condiviso lo spogliatoio con compagni già affermati, su tutti Cassano: “Un grandissimo giocatore che avrebbe potuto fare molto di più e un punto di riferimento”. Poi però un nuovo infortunio al crociato destro, lo stesso operato a 19 anni, lo ha costretto a concludere la stagione a gennaio: “Avrei voluto giocare di più in Italia, per poter dimostrare lo stesso livello avuto al River Plate o all’Arsenal de Sarandì. Quell’infortunio ha cambiato tutto. Non sono riuscito a dimostrare chi è il vero Carlos Carbonero”.
Oggi il colombiano, che Walter Sabatini portò in Italia, è svincolato. Il suo unico legame rimasto con il nostro Paese è con Duvan Zapata: “Gli ho fatto i complimenti per tutto quello che sta facendo. Ho condiviso con lui lo spogliatoio all’Estudiantes de La Plata e già in quel momento si vedeva il suo potenziale. Ho parlato con lui in questi giorni. Stanno rispettando le regole della quarantena ed è molto affranto per le vittime che ha avuto Bergamo. Fortunatamente la sua famiglia sta bene”.
CHE GUEVARA, L’APICE COL MONDIALE E POI IL DECLINO
E chissà se con Duvan ogni tanto parla della nazionale. Carlos l’ha assaggiata, nel periodo migliore della sua carriera, tra il 2012 e il 2014. E ha vestito quella maglia, anche se solo per 45 minuti contro il Giappone, al Mondiale brasiliano. Membro di una nazionale che entusiasmava in campo con i colpi di James Rodriguez e che divertiva sul web con i balletti dei vari Cuadrado, Zuniga e Armero.“La nostra cultura è pura allegria e noi la rappresentavamo così, ballando. Gli occhi del mondo erano puntati su di noi perché erano 24 anni che non giocavamo una coppa del mondo. Il lavoro di Pekerman e del suo staff è stato molto apprezzato dal popolo colombiano”. L’eliminazione col Brasile ai quarti di finale è stato anche il miglior risultato di sempre per i cafeteros. Da quel momento è iniziato il suo declino. E pensare che nel 2012, quando giocava all’Arsenal de Sarandì, venne accostato a Che Guevara per “come ha rivoluzionato la storia del suo club”. Parola del suo allenatore, Gustavo Alfaro, dopo la vittoria della Supercopa Argentina contro il Boca Juniors.
IL RITORNO IN COLOMBIA TRA SOLITUDINE E PREGHIERE
Gli ultimi anni però sono stati un calvario. Tre club e solo dodici presenze, tra Colombia e Argentina. “Dopo il Cortuluá ho pensato di lasciare il calcio”. La decisione di offrirsi gratis ai club. Mesi difficili mentre tante squadre non lo cercavano “perché pensavano chiedessi molti soldi”. Un’esperienza al Deportivo Cali, nella città in cui ora vive con moglie e figlia, dopo un fugace passaggio in Argentina. “Lo scorso agosto avevo firmato un contratto annuale con il Ferro Carril Oeste, in seconda serie argentina, ma ci sono stati problemi amministrativi e ho rescisso”.
Oggi si allena a casa, da solo. “Fino a poco tempo fa lo facevo con altri giocatori senza contratto a Cali, nella squadra gestita dall’Associazione Colombiana di Calcio Professionistico”. Intorno a lui non ha com pagni di squadra, ma le persone che ci sono sempre state. “Devo ringraziare la mia famiglia per essermi stata vicino sempre ed incondizionatamente. E anche due amici come German Mera del Junior di Barranquilla e un allenatore personale, Yamil. Non mi pento di nessuna decisione, anzi mi sarei pentito presto se avessi lasciato il calcio, perché merito un’altra opportunità”.
Situazioni vissute che lo hanno avvicinato a Dio, specie adesso: “Non ho paura, ma ovviamente chiunque si preoccupa nel vedere morire tante persone. Il mondo cambierà e dovremo adattarci a ciò che verrà. Dio farà passare presto questa situazione per mostrare che ha il controllo di tutto”. Solo, deluso, ma senza perdere la speranza. Carlos Carbonero si sente ancora un calciatore, ma non cercatelo sui social. Non lo trovereste.