“C’era una volta…”: cosa resterà della favola Leicester (e di Ranieri)
Rewind. Un anno fa. 23 febbraio 2016: “Welcome to
Leicester” è la prima, enorme scritta che trovi alla stazione. Il modo più
semplice per farti capire che no, non hai sbagliato fermata. E sei nel posto
giusto. “Taxi!“. No, la moda americana non funziona. A Leicester i
taxi o li prendi al loro capolinea o li prenoti. Il giorno prima. E allora il
primo tratto a piedi ci permette almeno di capire che atmosfera si respira in
questa cittadina delle Midlands. Il Leicester è lassù, in testa alla Premier,
da poche settimane. Ma nessuno ancora ci crede per davvero. Eccoli, i taxi.
“Hello! Where?“. La risposta è facile: “Leicester City Training
Ground“. Ti aspetti che nella città della capolista tutti sappiano dove si
allenino Vardy e compagni. E invece nulla. Il tassista ammette le sue mancanze
e prova a chiedere aiuto ai colleghi. Niente, nessuno lo sa. Google Maps dice
“50, Middlesex Road“. Lo sguardo del tassista è un po’ più convinto,
imposta il navigatore e va. Quando il centro di Leicester rimane alle nostre
spalle, inizio a capire perché nessuno, nella città della capolista, sappia
dove si allenino esattamente.
Mi sento un po’ più a casa soltanto quando il
solito tassista, un amico ormai, mi chiede di dove sono. “Italy“,
rispondo. “Oh! Italy… Ranieri!“. Potremmo fermarci anche qui,
(anche) in una risposta così stupida e banale c’è il senso di quello che è
stato Claudio Ranieri a Leicester. Per la prima volta il nostro stereotipo non
era più uno di quei classici cliché a cui ormai siamo troppo abituati al punto da
non prendercela neanche più, no. Era Claudio Ranieri. Sei italiano, sei
Ranieri. Siamo 60 milioni di orgogliosissimi Claudio Ranieri. E siamo arrivati
al Leicester City Training Ground. Un centro sportivo bellissimo in fondo ad
una piccola strada senza uscita, dove se i giocatori arrivano insieme al camion
della nettezza tocca fare retromarcia per far passare tutti. Dove gli abitanti
di una manciata di case inglesissime si lamentano per il “rumore
continuo”. Ma come? Non c’è nessuno? Con me due tifosi ed un
collezionista. Che ride: “eh sì, oggi siete in tanti”. Poi inizia la “sfilata”
delle Foxes. L’allenamento è finito, escono uno dopo l’altro. Poche foto, pochi
autografi. Perché nessuno glieli chiede. Vardy si ferma a parlare di musica con
un tifoso, Drinkwater aspetta un amico per fissare un tour nel nuovo negozio di
tennis in città e darsi appuntamento la sera al pub per vedere l’Arsenal in
Champions contro il Barcellona. In pochi realizzano che un anno dopo, in
Champions, potrebbero esserci loro.
L’ultimo ad uscire è lui, Claudio Ranieri. Macchina
scura, targa personalizzata: CR. Saluta “tutti”, si ferma a parlare. Senza
veli, senza filtri. Il primo (e l’unico) a crederci davvero è lui. La pizza –
stereotipo italiano che ha spazzato via – l’ha fatta cucinare ai suoi per far
gruppo. Ha svegliato tutti con un “dilly ding, dilly dong” da leggenda, ha scalato
gradino dopo gradino ogni gerarchia. Il resto? E’ storia. Nel weekend il
Leicester avrebbe battuto l’Arsenal, poi via ancora fino alla fine dell’anno. E
alla Premier alzata al cielo piovoso con i brividi per la voce di Bocelli più
che per il freddo. Una favola che ha travolto il mondo. Perché la storia del Leicester
è arrivata ovunque. A chiunque. Ha toccato tutti perché ci sentivamo tutti un
po’ Leicester. Perché le Foxes erano il riscatto che ciascuno cerca nelle
proprie vite. Era la rivincita degli ultimi della classe, degli “sfigati”, di
quelli presi in giro, di quelli che al liceo la più bella della classe potevano
soltanto sognarla. Dei perdenti, degli anonimi, degli umili. Di chi non ha mai
cercato sotterfugi, di chi non è nato con la camicia, di chi parte sempre
contro ogni pronostico. Il Leicester era tutto questo, era la dimostrazione che
tutto è possibile. Che i sogni sono fatti per essere realizzati. Che non
esistono quote, numeri, statistiche, valori, bilanci che non possono essere
ribaltati. Una squadra che ha unito tutti, che nessuno ha odiato. Neppure le
rivali in Premier. Una squadra che tutti hanno applaudito, un sogno di cui ci
sentivamo tutti un po’ partecipi. E scoprire che, anche durante l’anno
trionfale, qualcuno nello spogliatoio e nello staff già remava contro Ranieri,
aumenta ulteriormente portata e grandezza dell’impresa. “Tra 30/40/50 anni ci
saranno ancora bambini che sapranno recitare a memoria la formazione del
Leicester”. Come si fa con le grandi squadre, con il Barcellona di Guardiola e
il Milan di Ancelotti. Ad esempio. Resterà per sempre il Leicester di Ranieri,
con la consapevolezza che quegli undici nomi non saranno mai come sono stati
con lui. Un’immortalità che nessun esonero potrà togliere. “Ieri il mio sogno è
morto”, ha detto Claudio. Il suo “the end” su questo capitolo bellissimo della
storia del calcio l’ha scritto così. Ma ti sbagli, Sir. Perché è morto il sogno
di un po’ tutti noi. Che eravamo tutti Leicester, ed ora siamo tutti Ranieri.
Anche i suoi nemici, quelli che ironizzavano sulle sue etichette e che si sono
presentati in conferenza stampa con le sue iniziali sulla polo. Mourinho dice
che avrebbero dovuto intitolargli lo stadio, ma in fondo Claudio tu sai bene
come si chiama la tua vecchia casa. King Power Stadium, e tutti sapranno che
per sempre quel King sarai tu. Goodbye Claudio, and see you soon.