Bruno Conti: “Totti? Per me è un fratello: posso solo consigliargli di non lasciare mai Roma”
E’ il giorno del capitano, Francesco Totti saluta la Roma. Lo fa con uno scudetto e una Coppa del Mondo alzata al cielo da giocatore della Roma, proprio come un altro grandissimo capitano della storia giallorossa, Bruno Conti.
“Un soddisfazione enorme e un grande onore, perché ‘sta doppietta l’abbiamo centrata soltanto io e Checco…” – si legge nelle pagine de Il Messaggero –“Per me è come un fratello. In più, mi piace sottolineare che entrambi siamo cresciuti nel settore giovanile della Roma, oltre ad essere due grandi tifosi della Roma.Anche se aveva quattordici anni, si vedeva che lui era di un’altra categoria. E che sarebbe diventato quello che poi è diventato. Non solo per le doti tecniche, nettamente superiori a quelle dei suoi coetanei, ma per la personalità. E lui giocava sempre sotto età, cioè con quelli di un anno più grandi. Faccio un esempio: gli davi il pallone e lui, anche se era marcato da tre avversari, non perdeva mai la calma, sapeva sempre cosa fare e… la faceva. Non lo spaventava nulla, neppure gli errori. E già a quattordici anni aveva un occhio dietro la testa, cioè mandava il compagno in porta senza guardare”.
Conti allenò Totti anche in prima squadra: “E qui colgo l’occasione per ricordargli che mi fece incazzare di brutto… La Roma aveva un disperato bisogno di lui, ma Checco si beccò quattro giornate di squalifica dopo una litigata con Colonnese in Roma-Siena. E questo ancora non gliel’ho perdonato. Io già avevo tremila tic, lui me ne fece aggiungere un altra decina… Scherzi a parte, ricordo l’aiuto, la sua collaborazione durante il lavoro settimanale, fondamentale per salvare quella squadra“. Ancora elogi per il capitano: “Francesco è un uomo favoloso: generoso, altruista, sincero, umile e sempre disposto ad aiutare gli altri. Gli rimprovero solo una cosa: talvolta sarebbe stato meglio se avesse tirato fuori gli artigli, ma il suo carattere gliel’ha impedito, e il carattere non si può cambiare. Come giocatore, però, è ancora meglio. Io lo metto tra i grandissimi numeri 10 di tutti i tempi. Nel mio ufficio di Trigoria ci sono appese tre fotografie a cui tengo veramente tanto: io e Messi, io e Pelè e io e Checco. Devo aggiungere altro?“
Sia Conti che Totti “costretti” a smettere: “Due situazioni simili, probabilmente. Io non pensavo di smettere, poi ha prevalso la sofferenza di un anno vissuto, per colpa di Ottavio Bianchi, sempre ai margini, nonostante avessi ancora la forza per continuare a giocare. Così, con l’avvicinarsi della fine della stagione, mi venne quasi naturale pensare di smettere tanto era la delusione, la rabbia che provavo in quel periodo. Vi racconto una cosa: un giorno, durante un allenamento, Bianchi ordinò di provare i calci di punizione e si mise in barriera. Io presi la mira e gli tirai addosso una pallonata. Tanto smetto, che mi frega… Lui capì tutto al volo, ma rimase in silenzio… Avevo la possibilità di continuare a giocare da altre parti, ma non se ne fece mai niente per rispetto della gente romanista dopo una vita passata a Trigoria“.
Un tirata d’orecchie a chi ha gestito male questa stagione del capitano: “Per quanto riguarda Francesco, e parlo come Bruno Conti tifoso della Roma e non dirigente della Roma, il suo fine carriera doveva esser gestito in altro modo. Non accuso nessuno in particolare, lo ribadisco, il mio è un parere da tifoso e proprio da tifoso dico mi ha fatto male vedere Checco in campo due, tre, cinque minuti alla fine delle partite. Uno come lui, il più grande giocatore della storia della Roma, un autentico fenomeno avrebbe meritato un altro trattamento. Con un finale più sereno e più tranquillo“.
Oggi tutti allo stadio: “E con me ci saranno mia moglie, mio figlio e i miei nipoti. Ho fatto preparare alcune magliette, bianche, rosse e arancioni, proprio per la partita con il Genoa. E io indosserò la maglia numero 10 della Roma, quella di Checco. Il consiglio che gli posso e gli voglio dare è di non lasciare mai la Roma. Perché lui è la Roma. Io, sinceramente, non lo vedo come allenatore: è troppo buono, per farlo. Mi piace immaginare, invece, Checco come simbolo della Roma. In Italia e nel mondo. Presidente senza portafoglio della società, perché no? Lui merita il massimo. Se poi volesse restare a contatto con il campo, lo spogliatoio ritengo che non ci potrebbe essere persona migliore per svolgere questo compito. Perché ha il carisma, le conoscenze, la personalità per farlo”.