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Consapevolezze – Barlocco: “Tornare a fare gli incantati”

Credit: AC Trento

Il 26 giugno 2023 la vita di Sergio Barlocco, portiere del Trento, è cambiata. Era una normale giornata estiva, poi l’incidente: l’inizio di un incubo.

La corsa in ospedale, i primi esami e quelle frasi: “Forse non tornerai a camminare. Dovremo amputare il piede”. Sembra la fine di tutto. La fine del sogno di diventare un calciatore.

Passa una settimana in ospedale, perde 20 kg. Le cose non sembrano andare bene. Poi il ritorno a casa, le medicazioni, la fisioterapia e gli allenamenti in palestra con papà.

Sergio prima torna a camminare, poi torna in campo. A dargli fiducia il Trento. “La prima partita giocata è stata la fine dell’incubo”.

 

 

Credit: AC Trento

La lettera di Sergio Barlocco

Un estratto della lettera.

La forca del muletto mi cade sul piede. Ricordo solo il dolore incredibile che provai. Frattura scomposta di tutte e cinque le dita del piede, sangue ovunque. Guardai il piede e capii tutto. L’ansia salì, mi agitai. Terrore, paura, angoscia. Avevo investito tutto per il sogno di fare il calciatore. E in quel momento per uno stupido lavoretto era tutto finito. Svanito in pochi attimi. “Come faccio? Che ne sarà della mia vita?”

Un dipendente della ditta di papà mi porta all’ospedale. Si apre la porta del furgone, è papà. Mi basta vedere la sua faccia per capire la gravità della situazione. Mi portano d’urgenza in una sala. Con me entra mamma, papà non ce la fa. Mi sedano più volte, il male è inimmaginabile. Mi fanno i raggi e le lastre. L’ematoma corre su per la gamba. “C’è bisogno di un intervento immediato”. Durante il tragitto il medico cercava di tranquillizzarmi. “Non è come sembra”. Ero in lacrime. “Voglio tornare a giocare”. Quando seppe che ero un calciatore, il suo volto cambiò. “Non ti assicuro nulla, è quasi impossibile”. Un incubo. Un vero incubo.

L’operazione è durata due ore, ero confuso per la morfina. Ero ancora vestito da lavoro, c’era sangue ovunque, il piede era tutto fasciato. Al tempo c’era il Covid, c’erano diverse restrizioni per le visite dei parenti.
Quando entrarono mia madre e la mia ragazza scoppiai in un pianto infinito. Davanti agli occhi mi passarono tutti i sacrifici, le scelte, l’addio allo sci per il calcio il lavoro fatto per inseguire il mio sogno. “Potrò ancora fare una passeggiata? Devo dire addio al calcio?”. Ero impotente. Non riuscivo a essere positivo. Ansie e paranoie erano le mie compagne di stanza. Stava svanendo tutto. Niente aveva più senso. Niente. Nella mia testa c’era sempre e solo un pensiero: “Tornerò a giocare?”.

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