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Un ultimo (disperato) giorno di mercato, il regionale per Milano e l’omone vestito di bianco, Monaco racconta: “Quella giornata incredibile all’Atahotel che mi ha cambiato la vita…”

Guagliù, volere è potere…ricordatevelo sempre! E la mia storia ne può essere una piccola testimonianza…”. Ab principio Salvatore Monaco, difensore classe ’92 del Perugia. Anzi meglio, dal niente. Dai campi dell’Eccellenza, giocavo per 150 euro al mese. Avevo 18 anni, ero appena andato via di casa per inseguire il mio sogno. Andavo in giro in bicicletta perché non mi potevo permettere una macchina. Quando lo racconto la gente si mette a ridere…”. Ride chi probabilmente ha sempre avuto il vento in poppa (ma talento e fortuna se non accompagnate dal sudore della propria fronte, finiscono per svanire…). Lui ha sudato, pianto, ha preso mazzate. Era vicino a smettere, non mi volevano nemmeno in Eccellenza in Valle d’Aosta”. Ma alla fine, con grinta e sudore, ha ottenuto quello che aveva sempre desiderato: giocare a pallone. Perché nelle situazioni di difficoltà, e se veramente teniamo a qualcosa, il nostro istinto ci porta ad andare oltre, ad avere un’energia che non pensiamo di avere…a superare anche le difficoltà più impervie!

1 settembre 2014. Monaco, un treno regionale, la disperazione, Piero Camilli, l’inizio (quello vero, finalmente). “Se ci ripenso mi vengono i brividi, mentre ne sto parlando ho la pelle d’oca”. Schietto, sincero, umile. Sorride spesso, pacato, il fare classico di uno a cui la vita non ha davvero regalato nulla. Che è diventato forte sì, ma nella fatica. Le difficoltà ci annichiliscono, ci tagliano le ali, ci riportano su una realtà da cui vorremmo evadere il più in fretta possibile. Ma un minuto dopo già ci danno un qualcosa, lo strumento più importante contro qualsiasi tipo di amecania: la voglia di lottare. Torniamo, dunque, alla data fatale… “A inizio agosto avevo firmato con il Taranto, ma dovevo assolutamente trovarmi un’altra squadra, altrimenti sarei stato un anno fermo. Era l’ultimo giorno di calciomercato, mi trovavo a Busto Arsizio perché dovevo firmare con la Pro Patria. Alle 16 il direttore sportivo mi dice ‘guarda, facciamo un altro difensore che arriva a zero. Mi dispiace’. Ero nel panico totale, decido di prendere il primo regionale per Milano e dirigermi all’AtaHotel. Per trovare l’albergo – racconta Monaco ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com una fatica terribile, non conoscevo nulla. Avevo 22 anni appena compiuti. Chiedo indicazioni a chiunque incontro alla stazione Centrale, finalmente arrivo all’hotel…nell’imbarazzo più totale! Tutti vestiti bene con giacca e camicia, io mi presento con magliettina e pantalone da mare. Tutti che mi guardano strano, ‘ma chi è questo Zulù?’. Tra imbarazzo, disperazione e un pizzico di speranza comincio a fare il procuratore di me stesso. Mi propongo a chiunque mi capita a tiro negli stanzoni dell’Ata, perfino a dirigenti di squadre danesi e svedesi. Niente, tutti mi davano buca. Tra me e me dico…’è finita, davvero’. Quattro anni di sacrifici buttati nel cesso”.

E, invece, alla fine arriva la sorpresa. Giusta, meritata, sacrosanta. La vita, spesso, premia chi osa, chi veramente è il capitano del proprio domani. Chi confida troppo in fatalismi e fortuna può vincere una battaglia, mai una guerra… “Mi avvicino alle 22.30 al bancone del bar dell’Ata per prendere un bicchiere d’acqua. In tutta la giornata non avevo né mangiato né bevuto niente. Ma non potevo mollare ora, a trenta minuti dalla fine del mercato. Seduto di fianco a me c’è un ‘omone’, tutto vestito di bianco. Era Camilli, il presidente del Grosseto. Lo chiamo, si gira e mi fa… ‘Sì, io sono Camilli. Ma tu chi sei?’. Il tempo di presentarmi ed esco subito allo scoperto, stava per finire tutto, era la mia ultima ancora di salvezza… ‘Vi serve uno ignorante? Se mi date questa possibilità io mi mangerò l’erba per voi’. Interviene, però, il direttore sportivo: ‘No guarda, non ci serve. Abbiamo chiuso il trentesimo giocatore, siamo completi’. Quella parole mi hanno ammazzato. Ero finito, distrutto, affranto, stremato, non trovo altri aggettivi, sto tremando mentre lo racconto. Cinque minuti dopo Camilli alza la mano e mi dice di avvicinarsi a lui… ‘Monaco, ascoltami bene: io nella mia vita ho perso tante scommesse, ma nessuno ha mai avuto le palle di presentarsi qui, di persona a trovare squadra come hai fatto tu. Da questa sera, ore 22.45, sei uno dei nostri. Benvenuto al Grosseto’. Una liberazione, una vittoria. La mia vittoria, la vittoria di chi non ha mai smesso di lottare”.

Valigia carica di speranze, con l’immancabile ‘Manuale del guerriero della luce’ di Coelho sempre in mano. Un prontuario fondamentale nella vita di Monaco, il Guerriero per l’appunto. “L’avrò letto dieci volte! I primi mesi a Grosseto ero una specie di mascotte. Mi allevano a mille all’ora, ma ero sempre il ventitreesimo nelle partitelle undici contro undici. Giocavo solo se mancava qualcuno e in qualsiasi ruolo. Io mi rendevo conto di potermela giocare con tutti e invece niente. Stavo zitto, non dicevo nulla, ma dentro di me ero un vulcano, non mi davo pace. A novembre Silva fu esonerato, saluta la squadra nello spogliatoio e poi dice una cosa che non mi scorderò mai…’Qui, tra voi, c’è un giocatore che più di tutti merita di giocare ed io sfortunatamente non gli ho mai dato l’occasione. Questo giocatore è Salvatore Monaco’. Avevo gli occhi lucidi, volevo scoppiare a piangere in mezzo a tutti”. Un guerriero, un gigante di un metro e novantadue: onesto e leale, dal cuore d’oro.

Comincia a giocare con continuità, sarei rimasto a Grosseto a vita. Poi quando il presidente Camilli ha lasciato, sono ripartito dall’Arezzo con Capuano. Mi chiamava ‘Animale’ . Veniva da me, faccia a faccia e mi urlava…’Tu te magn tutt’e quanti!’. ‘Tu arrivi in Serie A’. Mi dava una carica incredibile, per me ogni contrasto che facevo era, è e sarà sempre come l’ultimo della vita”. Ultima tappa, Perugia… “All’inizio ho trovato un po’ di difficoltà, ma nella vita bisogna saper aspettare il proprio momento. Bucchi ha creduto molto in me, fin dal primo momento. Mi ha reso orgoglioso, perché poteva benissimo scaricarmi non avendo giocato molto l’anno prima”.

Alla fine e solo alla fine (l’emblema forse della storia), Salvatore parla di papà Gennaro, ex giocatore di livello… “Mi ha insegnato i valori umani, il rispetto, la determinazione. Ma mai e poi mai ha messo mezza parola nella mia carriera, nemmeno quando stavo per smettere. Perché siamo entrambi della stessa idea e ne andiamo orgogliosi: questa è la mia strada e devo percorrerla solo ed esclusivamente con le mie gambe. Poi dove arrivo non lo so, ma vado avanti con la mia testa, sempre”.

Credete nei vostri sogni, non abbandonateli mai. Nemmeno quando vi sembrano lontanissimi perché è proprio in quel momento lì che con forza e determinazione potete avvicinarli. Credete nel lavoro duro, nella determinazione, nell’onestà. Credete nei valori che ci inculcano fin da piccoli perché quelli sono gli strumenti migliori per volare. Ce lo insegna Salvatore Monaco, ce lo insegna quell’urlo di squadra che facevano in suo onore a Grosseto prima di entrare in campo: Volere è potere!”. Esempio di vita Monaco, esempio del non smettere mai di credere in quello che si fa. Se smettiamo di volare, non ci rimane altro che il grigiore quotidiano…