Tifa, prega, ama. Solo l’Atletico Madrid. Il sogno della Primera si trasforma in maledizione
Il vescovo rojiblanco diffondeva il suo messaggio: “Nunca dejes de creer“. Non smettere mai di crederci. Ce l’aveva persino scritto in fronte, bello grande. Un seguace in camicia bianca e cravatta rossa piangeva ancor prima che iniziasse la partita, bastava fissarlo negli occhi per cogliere la sua ansia. Toccarlo. Lui tremante, con un respiro affannoso quasi asmatico. Prima incassava pacche di supporto e ringraziava con un cenno. Poi s’inginocchiava e pregava. Pregava. Entrava nel suo mondo. Fedele al suo credo, devoto ai valori dell’Atletico. Coraje y corazón.
C’era il nonno di 60 anni che alternava fasi di riflessione aggrappato alla ringhiera della Sud a ondate di energia irrefrenabile. A momenti giù, dalla Sud. Camminava nervoso, urlava ‘vamos, vamos’ con carica quasi agonistica: sembrava giocasse, indemoniato. Esaltato da un Carrasco senza freni per tutto il secondo tempo. Speranzoso e innamorato, abbonato da una vita. C’era anche l’estremista del ‘frente’ protagonista di mille battaglie e con cicatrici in bella vista, anche in testa. E quando lo steward dello stadio gli chiedeva calma e compostezza lui non apriva nemmeno bocca, bastava un’occhiata… ccia e quella frase chiara: “Sono qui per il mio Atleti”. Mille mila anime: un solo cuore. Che non si è fatto perforare da quel ‘tunf’ potente e prepotente della traversa sul rigore di Griezmann. Ma ci ha creduto fino alla fine, al gol di Carrasco di più: qualcuno ha pure gettato le stampelle dalla gioia e si è messo a camminare. Saltare! Con una gamba sola. Perché l’amore può fare miracoli, sì. “Dai che glielo facciamo nei minuti finali” sperava qualcuno con grande voglia di rivincita. Solo un sogno.
Oblak le parava tutte, per fortuna. ‘I rigori non saranno un problema’ perché la ruota gira sempre, dicevano. Peccato che il verso sia comunque blanco merengue: Real Madrid campione e Atletico nel pianto della disperazione sportiva. Juanfran affranto chiedeva scusa con tanto di mano sul petto: la curva ha applaudito, senza discussioni né ripensamenti. Un ragazzino di Hong Kong non riusciva a contenere le lacrime dopo aver fatto chilometri e oceani per una notte che sarebbe dovuta essere primera nella storia dei colchoneros. Sarebbe dovuta essere eterna. “La vinceremo il prossimo anno” gli sussurrava la gente alle sue spalle. Moralmente a terra ma pur sempre ottimista. Poi Ramos alza la coppa, Torres e Gabi si voltano, non possono guardare. Non ce la fanno: il dolore è irrefrenabile. Pena massima. Simeone prova a leccare le ferite dei suoi e ringrazia orgoglioso chi non ha mai smesso di cantare, ma soprattutto crederci. Perché il messaggio del vescovo rojiblanco è quello giusto. Quello che l’Atletico segue da sempre e porta nel cuore.